Carbonizzazione, Gielle: “Inquina meno del compostaggio”

Non inquina, non puzza, è efficace, produce materie prime commercializzabili, è in grado di chiudere il ciclo dei rifiuti sul territorio a livello di ambito. Si presenta così, alla città, in un incontro alla Stella Polare, il progetto del nuovo impianto di biocarbonizzazione presentato a Provincia e Comune di Lucca e che dovrebbe trovare collocazione a Salanetti, proprio accanto allo stabilimento della Wepa. Un impianto per cui sono state avviate tutte le procedure di legge per la sottoponibilità a valutazione di impatto abientale e che, nelle intenzioni della proprietà, la Gielle Srl di Luca Gelli (amministratore unico il commercialista lucchese Ugo Fava) dovrebbe partire entro la fine del 2015.
Alla presentazione anche il responsabile del progetto, Massimo Manobianco, della Marty Agency Srl, che ne sottolinea le caratteristiche tecniche, per cui la Gielle è titolare del brevetto in via esclusiva a livello nazionale.
“Si tratta di un impianto all’avanguardia – spiega Manobianco – cosa che è stata più volte evidenziata nel corso dei molteplici incontri che abbiamo avuto fino ad oggi. Un progetto che, senza esagerazione, entra di diritto nel novero di quelli di Blue Economy, ovvero la fase 2 della green economy, quella che coniuga rispetto dell’ambiente con la sostenibilità economica”.

“La prima questione da sottolineare nel processo è quello dell’efficacia. In otto ore infatti si conclude il processo di carbonizzazione dei rifiuti organici. Un tempo, in sostanza, cento volte inferiore rispetto ai normali impianti di compostaggio. Il tutto con minore uso di energia e con, come risultato finale, un prodotto che può essere utilizzato per molteplici funzioni, dalle celle a combustibile, ai fotocatalizzatori; dai filtri al carbone attivo ai fertilizzanti per i terreni”.
Il biochar, insomma, come prodotto del recupero dei rifiuti organici di tutta l’area di ambito. Che è poi l’obiettivo dell’azienda, ovvero quello che questo impianto diventi quello di riferimento dell’Ato anche per ottenere quei finanziamenti che, in un primo tempo, erano destinati all’impianto di compostaggio che il piano interprovinciale dei rifiuti colloca proprio a Capannori.
L’impianto tratterà soltanto frazione organica e sfalci del verde: “Nella documentazione presentata alla Provincia – dice – sono stati indicati tutti i codici europei dei rifiuti che attingono al settore delle biomasse residuali. Non verrà, insomma, introdotto nell’impianto, alcun rifiuto che non sia organico, sicuramente niente di pericoloso o speciale”. Il tutto non a temperature elevatissime, dicono dalla Gielle: “L’impianto lavora – dice ancora Manobianco – a 200 gradi perché la carbogenesi avviene fra i 180 e i 210 gradi secondo una reazione chimica nota da secoli. La novità sta nei brevetti che hanno industrializzato processi già noti da tempo”.
Ma perché Salanetti? “Perché – risponde Gelli – l’area vede già la presenza in loco di altre aziende di gestione dei rifiuti ed insiste su un territorio che è già conosciuto a livello nazionale per la strategia di riduzione dei rifiuti e dove doveva essere a
Al suo posto, se tutto andrà in porto (ma non mancheranno le resistenze, tanto che sul tema ieri c’è stato un incontro d’urgenza della maggioranza capannorese e giovedì ci sarà un’assemblea pubblica), sarà utilizzato il capannone già esistente da cui emergeranno dieci silos in acciaio inossidabile, dove si tratteranno i rifiuti. Solo nella stazione centrale ci sarà un ciclo continuo mentre le zone dove stazioneranno i rifiuti organici saranno a tenuta stagna e in depressione per evitare il rilascio di odori. “E poi – ricorda Gelli – riducendosi di un centesimo i tempi del processo il materiale rimane nella fase di pretrattamento soltanto per un’ora, poi viene inserito in vasche con acqua che eliminano ogni problema di odori”. E le emissioni? “Per i due terzi – ricorda Manobianco – sono vapore acqueo, per un terzo sono quelle di una centrale termica di piccole dimensioni, che lavora fra i 300 Kw e i 3 Megawatt, potenze ridicole se paragonate a quelle industriali. Inoltre l’energia termica che si libera dopo la fase di avvio del processo serve ad alimentare il processo stesso. Peraltro la stessa è alimentata a cippato, quindi totalmente con biocombustibile, rendendo il processo ancora più pulito e teso alla salvaguardia dell’ambiente o al riuso di materiali già presenti in natura”.
Da Salanetti passeranno 60mila tonnellate di rifiuti l’anno, se il progetto andrà in porto. Che sono poi proprio la quota che “manca” all’Ato per la chiusura in proprio del ciclo dei rifiuti. Ma si tratta, dicono dalla Gielle, di un progetto che non sarà limitato a Capannori o alla Toscana, ma che dovrebbe vedere la Piana come apripista a livello nazionale e non solo: “In Italia – dice Manobianco – di impianti del genere non ce ne sono. Ne esiste uno in Spagna, a Valencia, che è stato realizzato dopo una serie di stati evolutivi, finanziati in parte dall’Unione Europea, e che ha prodotto la bellezza di 4 brevetti industriali. Esiste infatti un programma specifico della Ue che studia il modello per la soluzione del trattamento dell’organico a livello europeo, dove di 90 milioni di tonnellate di rifiuto di questo tipo ancora 50 milioni finiscono in discarica”.
Ma, è una delle domande più frequenti, ci sono stati contatti o adesioni anche se informali da parte degli enti come Comune di Capannori, Provincia, Regione e Ato? “Siamo nella fase – spiega Gelli – degli incontri per acquisire i dati tecnici su cui elaborare il processo: quantità, flussi, eccetera. Per capire esigenze e quantità di rifiuti da smaltire anche a livello di ambito. Perché in caso di impianto sul territorio potrebbe essere infatti garantito anche un risparmio notevole, anche fino alla doppia cifra, per lo smaltimento da parte delle aziende speciali che finora sono costrette a inviarle a smaltire altrove”.
La Gielle si è avvalsa anche di importanti collaborazioni, fra cui quella di Lucense: “Ci hanno indirizzato – spiega – a possibilità di finanziamento e suggerito alcuni passaggi. Hanno accolto di buon grado soprattutto il passaggio della possibilità di produrre, come esito finale, materie prime per chiudere addirittura in maniera negativa il rapporto di produzione di Co2”. Collaborazione anche dall’Università di Pisa che invierà studenti interessati ad approfondire questo tipo di ricerche.
Le tempistiche, però, non sono immediate: il primo step è arrivato con la presentazione del progetto al Comune il 24 luglio e alla Provincia il 31. Dovranno ora passare 180 giorni (sei mesi) per osservazioni e avviamento della procedura di valutazione di impatto ambientale. L’obiettivo, dunque, è quello di iniziare a far funzionare l’impianto entro la fine del 2015: “Non partirà tutto insieme – dice Gelli – ma per fasi anche perché la volonta dell’azienda è quella di valutare costantemente le sue emissioni e di capire se le previsioni fatte in sede di progetto vengono poi confermate dai dati reali, prima di aprire l’impianto a pieno regime”

L’impiant. Quello di Salanetti è un impianto industriale di carbonizzazione idrotermale, che vedrà in partnership un gruppo di operatori, impegnati in un’operazione economica ambiziosa e interamente finanziata da privati. Il procedimento, altamente innovativo, consiste, attraverso il recupero e il trattamento dell’umido organico e del verde, nel raggiungimento di un duplice obiettivo: da un lato, la produzione di bio-carbone; dall’altro, la chiusura in loco del ciclo dei rifiuti. Un impianto che attualmente non esiste in Italia, ma che si trova solo a Valencia, in Spagna, dove ha già portato notevoli vantaggi, tanto da essere considerato un fiore all’occhiello della sperimentazione, dell’innovazione tecnologica e della salvaguardia ambientale a livello europeo.
Il progetto utilizza ben quattro brevetti che, attraverso la regolazione di temperature e pressioni, in un procedimento industriale all’avanguardia e con un ciclo temporale brevissimo, permette di realizzare, oltre al biocarbone, da utilizzare in sostituzione del pellet da legna e da immettere sul mercato come combustibile, anche acqua fertilizzante. Ma non solo: l’azienda, all’interno del proprio stabilimento, ha già previsto l’organizzazione di un laboratorio di ricerca in collaborazione con Lucense – società consortile partecipata, tra gli altri, anche da Provincia e Comune di Capannori, e con l’Università di Pisa. Ricerca finalizzata allo studio di possibili nuovi impieghi, come ad esempio l’utilizzo del prodotto come materia prima per ulteriori processi industriali. Il tutto mirato ad una progressiva riduzione, fino all’azzeramento, delle emissioni di anidride carbonica.

Le emissioni La centrale termica a servizio dell’impianto funziona a cippato o pellet (dunque, energia rinnovabile al 100 per cento) e ha una potenza termica che varia da un minimo di 300 kw a un massimo 3 Mw adattandosi di continuo alle esigenze dell’impianto e minimizzando dunque l’energia consumata. “Per dare un’idea concreta – ha ricordato Manobianco – 3 MW è la potenza che serve ad alimentare un albergo di medie dimensioni e quindi ridicola in termini assoluti, se si pensa che stiamo parlando di un impianto industriale. La potenza in questione è talmente ridotta per cui non viene neanche richiesto il controllo in continuo delle emissioni (fino a 50 Mw non è necessario il controllo). La nostra intenzione è comunque quella di eseguirne periodicamente e di pubblicare i dati aggiornati di volta in volta sul sito dell’azienda. La potenza massima indicata, poi, servirà solo nella fase di partenza a freddo dell’impianto: la reazione messa in atto, infatti, oltre a produrre la carbonizzazione organica, libera anche energia. E liberando energia, contribuisce al mantenimento energetico della struttura durante la fase di lavorazione, senza la necessità di ricorrere alla centrale termica”.
Le emissioni massime raggiunte sono di 42.000 Nmc/ora e sono per il 70 per cento composte da vapore acqueo, essendo quelle derivate dall’essiccazione del biocarbone a valle dell’impianto. Le emissioni della centrale termica concorrono per meno di un terzo a quel quantitativo complessivo di 42.000 Nmc/ora e cioè per 13.200 Nmc/ora solo in condizioni di piena potenza. Situazione, quest’ultima, che si verifica solo nella fase di avvio dell’impianto da freddo. “La centrale potrà essere alimentata dal biocarbone autoprodotto – spiega il responsabile del progetto – un fatto sicuramente positivo, che comporta anche un risparmio di risorsa rinnovabile e ha lo stesso bilancio di emissioni con CO2 zero”.

I punti di forza secondo Gielle L’impianto è autosufficiente per energia e acqua. L’acqua prodotta in eccesso dal processo dopo essere passata dall’ultrafiltrazione e osmosi per il recupero del concentrato (prodotto di interesse per le aziende che producono fertilizzanti organici), viene poi scaricata nella rete fognaria industriale in ragione di 2 metri cubi all’ora. Un quantitativo minimo, accolto positivamente da Acque Spa.
La durata del ciclo di produzione è di 8 ore contro i 28/40 giorni della biodigestione e compostaggio. Una bella differenza. Con un ciclo così veloce i quantitativi di rifiuti putrescibili in giacenza sono fino a 100 volte inferiori rispetto al compostaggio ed ecco perché l’impianto ha una ridotta esigenza di area, limitando così il consumo di suolo.
Un altro punto di forza risiede nella riduzione delle emissioni. Infatti, per ogni tonnellata di rifiuto organico trattato con carbonizzazione idrotermale anziché con impianto di compostaggio con digestore, si evita di immettere in atmosfera 1,3 tonnellate di anidride carbonica per un totale a regime di 78mila tonnellate annue. Senza considerare il problema del metano: nell’impianto industriale di Salanetti non verrà prodotto. Infine gli scarti: “Non esiste impianto di compostaggio che non abbia scarti – conclude Manobianco – Noi abbiamo scarti zero”.

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