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Quel dolore dentro che non ti lascia scampo

Appartiene al mare magnum della scrittura autobiografica, questo L’uomo di ferro di Iulian Emil Murgoci, appena edito dalla benemerita editrice La Zisa di Palermo. Ma con un elemento – e non da poco – di novità. L’autore non è, come di solito avviene in questo genere di letteratura, un uomo maturo che, insieme al racconto delle sue esperienze di vita, vuole anche tentare un bilancio esistenziale da proporre ai lettori come testimonianza, monito, documento, insegnamento… No. L’autore è un giovane di neppure trent’anni che con lucidità assoluta e una precisione da entomologo, espone al lettore gli effetti devastanti di un dolore che lo attraversa, lo percorre tutto, lo intride sin dagli anni della prima adolescenza.

Un senso perenne e incombente di spaesamento, inadeguatezza, totale mancanza di autostima che porteranno Iulian alla ricerca di una qualche forma di compensazione: attraverso una pratica ossessiva dell’attività fisica, confusi e reiterati disordini alimentari, un sempre più frequente abuso di cocaina. Eppure a Iulian non mancherebbe nulla per essere almeno sereno: una famiglia, i genitori e una sorella, amorevole; l’affetto degli amici e la simpatia dei conoscenti; risultati scolastici più che decorosi e, poco dopo, un lavoro capace di dare soddisfazioni e anche ben retribuito. Ma c’è sempre quel maledetto ‘tarlo’: un senso di vuoto, di mancata realizzazione, una triste sfiducia in se stesso che gli impediscono una vita normale, piena, completa. In un alternarsi sempre più accelerato di cadute e riscatti, ripartenze e nuovi errori, Iulian arriva anche al gesto estremo di tentare il suicidio e per di più in maniera atroce: ingerendo acido muriatico. Un gesto che lo porterà a un passo dalla morte, gli rovinerà gli organi interni dell’apparato digerente, lo condannerà a un lungo ricovero in ospedale e a continui ritorni in corsia che solo da poco tempo sembrano aver conosciuto la parola fine.
Una pena di vivere che Iulian ci racconta con semplicità, quasi con candore, in maniera distaccata, oggettiva come se quel vissuto appartenesse a qualcun altro. Una scrittura cronachistica, la sua, che ti piglia alla gola e sembra metterti in relazione diretta col male. Quello oscuro che ti nasce dentro, subdolo come un tumore. Che non ti lascia e a cui non sai dare un nome: qualcuno l’ha chiamato depressione, ma forse è un termine alquanto riduttivo. È la qualità della vita che peggiora, le relazioni familiari e amicali che degradano, lo studio e il lavoro che si fanno sempre più deludenti, mentre il cibo non dà più piacere né il sonno riposo. Tutto è dolore. Puro dolore di vivere e ricerca senza scampo di una qualsivoglia via di fuga che non si riesce a trovare siccome non si accetta l’idea di farsi aiutare, perché non è mai facile ammettere la propria impotenza.
Questa è la storia di Iulian che solo da poco, pochissimo sembra aver ritrovato la giusta dose di fiducia in sé e negli altri, una nuova capacità di rapportarsi col mondo, con la vita e le sue asprezze. Pagine durisime e tenere che, consapevolmente o meno, fanno parte della terapia: scriverle ha senz’altro aiutato il suo autore a illuminare le proprie zone buie, a meglio conoscersi e accettarsi. L’uomo di ferro ci racconta del faticoso mestiere di vivere in mezzo alle ombre paurose di una complessa patologia psichiatrica. Ai suoi infiniti inganni non è facile reagire. Ci può aiutare, e non poco, una forza istintiva che quanto più sprofondiamo nelle ombre, tanto più ci riporta su verso il bene, il bello, il buono, alla ricerca di armonia, gentilezza e amore. Una parolona? No, direi proprio di no: dopo aver letto il libro di Iulian mi sembra che sia proprio il termine adatto.

Luciano Luciani

Iulian Emil Murgoci, L’uomo di ferro, edizioni La Zisa, Palermo 2018, 180 pagine, 14 euro

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