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Uomini di farina rossa nell’ultimo libro di Raffaelli

Da scrittore autobiografico ad accorato memorialista di una cultura materiale ormai estinta o in irrimediabilmente in via di estinzione, Odino Raffaelli, più di metà della vita trascorsa da cittadino lucchese, ci consegna la sua terza fatica di impianto antropologico-sentimentale. Dopo Il grano dal chicco al pane e Pastorizia e transumanza delle greggi nell’alto Appennino Reggiano, due pubblicazioni preziose per chiunque voglia ricostruire la vita quotidiana delle genti della montagna tra Toscana ed Emilia, l’attenzione del memorialista di Vaglie di Ligonchio si appunta su un altro aspetto della civiltà montanara: la coltura – e cultura – della castagna.

Fin da tempi remoti dono insperato di queste terre severe e, proprio per questo, bene da tutelare in ogni atto della relazione che gli abitatori dei monti, da secoli, hanno saputo stabilire con il castagno, i castagneti e i suoi frutti. In una veloce ed esaustiva rassegna, Raffaelli prende in esame e partecipa al lettore la storia di questa pianta e ne sottolinea l’importanza capitale nella vicenda dell’uomo europeo. L’autore evidenzia i molteplici usi del castagno e la necessità di una continua manutenzione di questa ricchezza naturale: da una precisa partizione delle proprietà alla realizzazione di semplici, ma ingegnosi, strumenti di lavoro; dalle pulizie del sottobosco, alla raccolta delle foglie, al ripristino delle roste e delle muricce… Tutti lavori che precedono, accompagnano, seguono la raccolta delle castagne, condotta, in genere, per gruppi familiari organizzati. Segue poi il dopo raccolta: portate al metato, le castagne sono sistemate sopra i cannicci e sottoposte a essiccazione. Sbucciate e pulite sono pronte per la molatura e per essere trasformate in quella farina rossa edibile che, rielaborata in una straordinaria varietà di cibi dolci o salati, ha nutrito generazioni e generazioni di donne e uomini della montagna, liberando famiglie e comunità dall’assilo della fame. Quando per un motivo o per l’altro tale risorsa veniva a mancare allora la sofferenza diffusa si faceva pena: si mangiava al di sotto del necessario con tutte le conseguenze che ne potevano derivare. E allora si emigrava: le famiglie si dividevano e nella vita, già dura, entravano ulteriori motivi di afflizione.
Di questa modesta epica montanara, durata almeno sino alla metà del secolo scorso, si fa memorialista e narratore Odino Raffaelli, attento come sempre a trasmetterci anche il colore, i sapori, il calore dei suoi ricordi. E i nomi delle attività e degli strumenti d’uso, dei luoghi e dei cibi. Se poi le sue parole non gli paiono sufficienti e il racconto non sembra all’autore abbastanza cantabile, allora Odino ricorre ai versi, ingenui ma espressivi, dei poeti popolari della zona. Lo accompagna in questa sua condivisibile fatica la sensibilità acuta per la cesura – culturale, valoriale, antropologica – intervenuta più o meno sessant’anni fa con l’avvento della società dei consumi e tutte le sue successive e peggiorative declinazioni. In difesa di quel mondo montanaro che non c’è più, Odino monta la guardia. Per significarci che comunque c’è stato e ha anche lasciato tracce indelebili nella nostra coscienza. E scongiurare così il maleficio per cui “la maledizione degli uomini è che essi dimenticano”.

Luciano Luciani

Odino Raffaelli, La castagna: l’antico pane dei poveri, collana Nodino / La memoria delle cose 3
Edizioni La Grafica Pisana – Bientina (Pisa), 2018, 140 pagine, 10 euro

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