Medici e scrittori: bugiardi gli uni e gli altri

C’è una lontana vicinanza, un’antica affinità tra pratica medica e letteratura e lo dimostrano non pochi esempi di medici scrittori. Il primo a realizzare questa particolarissima contiguità? Niente meno che l’evangelista Luca (9 – 93), l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, quello che San Paolo nella Lettera ai Colossesi appella come il “caro medico”. Poi, con un salto di quasi due millenni, come non ricordare Anton Cecov (1860 – 1914) che, oltre a essere un dolente drammaturgo e un grande narratore della decadenza della borghesia russa, è stato anche un medico preoccupato per le condizioni materiali e morali del suo popolo: in più di un’occasione, nel corso della sua breve esistenza l’autore del Gabbiano, di Zio Vanja, delle Tre sorelle si è prodigato per lenire le sofferenze della sua gente.

Sempre russo, medico e scrittore, giornalista e drammaturgo, fu anche Michail Bulgakov (1891 – 1940) inviso al regime staliniano che nei romanzi brevi Cuore di cane e Le uova fatali lascia trapelare una vena tra il fantascientifico e l’irridente verso la società del suo tempo: il suo capolavoro, Il maestro e Margherita, sempre in bilico tra fantasia grottesca e un’angosciosa ironia, potrà vedere la luce ed essere pubblicato solo un quarto di secolo dopo la scomparsa di Bulgakov. 
Dall’oriente all’occidente. In Gran Bretagna tra i medici scrittori possiamo annoverare Artur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes: medico lui e medico pure il simpatico dottor Watson, la ‘spalla’ di Sherlock, e non sono poche le conoscenze medico-scientifiche che rifluiscono nelle storie della più famosa coppia indagatrice della storia del romanzo poliziesco. Medico tra i minatori del Galles è stato anche Archibald Cronin (1894-1981), autore prolifico e conosciuto in tutto il mondo per almeno due opere, E le stelle stanno a guardare, 1935 e La cittadella, 1937, popolarissime in Italia, poco più poco meno di cinquant’anni fa, grazie a due celebri e seguitissimi sceneggiati televisivi di Anton Giulio Majano.
Medico-psichiatra di qualche fama – curò anche la la regina Vittoria – è lo scrittore svedese Axel Munthe (1857-1949), autore de La storia di San Michele, racconto autobiografico in parte romanzato della sua vita e della sua attività. Il titolo si riferisce alla villa San Michele che il medico-scrittore si costruì ad Anacapri con l’aiuto di manovali del posto. Medico condotto nei quartieri popolari di Parigi fu Luis Ferdinand Celine (1894-1961), l’autore di Viaggio al termine della notte, 1932, un’opera capitale della letteratura europea del Novecento: disperata e corrosiva, sulle sue pagine si riversano molte delle esperienze personali e professionali dell’autore. Tra gli italiani che hanno saputo intrecciare il lavoro di cura con la pagine scritta non si smemori il milanese Giovanni Raiberti (1805 – 1861). Di convinzioni liberali subì per gran parte della sua breve esistenza le attenzioni della occhiuta polizia austriaca a cui era uso reagire pubblicando operine argute e bizzarre dove, senza parere, criticava sagacemente lo stato di cose a lui presente: Il gatto. Cenni fisiologici e morali, 1845; L’arte del convito spiegata al popolo, 1850-’51; El pover Pill, 1852, versi in dialetto milanese in memoria dell’amato cane; Il viaggio di un ignorante a Parigi, 1857, in cui Raiberti contrappone la Francia imperiale di Napoleone III all’Italia che stava per nascere. Poi, una lunga lista: medico è Carlo Levi, scrittore e pittore, autore di Cristo si è fermato a Eboli, 1945, L’orologio, 1951, Il futuro ha un cuore antico, 1956; alpino, ufficiale medico nella campagna di Russia e scrittore il vicentino Giulio Bedeschi, quello di Centomila gavette di ghiaccio, pubblicato nel 1963, libro culto della nostra letteratura di guerra; ; il pavese Bruno Tacconi (1913 – 1986), abile divulgatore della storia antica del Mediterraneo in forma di romanzo, La verità perduta, 1972, L’uomo di Babele, 1973, Masada, 1980. Ai nostri giorni spesso, in testa alla classifica dei best seller, troviamo il dottor Andrea Vitali, prolificissimo scrittore, accumulatore seriale di premi letterari e continuatore della tradizione di chi ama intrecciare la corsia dell’ospedale o lo studio medico con la pagina scritta. Individuandola, forse, come una sorta di antidoto, di contravveleno nei confronti della malattia, della sofferenza, del dolore, della morte a cui i medici sono costretti ad assistere e partecipare ogni giorno.
Mario Tobino. Ma siamo a Lucca e non possiamo certo trascurare Mario Tobino (1910 – 1991), per lunghi anni direttore dell’ospedale psichiatrico del capoluogo – “avevo fin da ragazzo predilezione e interesse a capire i pensieri altrui. Così per poter vivere e fare lo scrittore sono divenuto psichiatra” – e affabulatore dell’inquietante mistero della follia (Le libere donne di Magliano, 1953; Per le antiche scale, 1972). Tobino, antifascista e partigiano, “il periodo più bello della mia vita… dove finalmente avevo una bandiera”, tratta anche della recente storia d’Italia in alcuni dei suoi libri più noti: Bandiera nera, 1950, Il deserto della Libia, 1951, e Il clandestino, 1962, in cui lo scrittore viareggino rielabora letterariamente il rapporto della sua generazione col fascismo. Altro tema caro a Tobino gli ambienti provinciali, i luoghi e i personaggi delle sue radici che ritroviamo in La brace dei Biassoli, 1956, Sulla spiaggia e al di là del molo, 1966, Una giornata con Dufenne, 1968, opere che fanno di Tobino uno tra gli scrittori più celebrati, con un vasto seguito di lettori, al quale non mancano anche i riconoscimenti ufficiali dei premi letterari, dal Viareggio, allo Strega, al Campiello. Un tema affascinante quello dei medici scrittori. Se ne accorse anche Carlo Dossi, geniale ed estroso scrittore italiano del secondo Ottocento. Ha lasciato, infatti, nelle sue Note azzurre, 1912, una breve, acuta considerazione: “il campo sia dei letterati che dei medici è la bugia, la quale non può avere spaccio se non sotto una bella forma”. La medicina e la letteratura trovano nella menzogna “un punto significatissimo di congiunzione”, per il motivo che “mentono entrambe, la prima per far del bene, l’altra per far del bello”.

Luciano Luciani

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