A Lucca i superdirettori dei musei nazionali fra burocrazia e nuove tecnologie

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Si sono insediati all’incirca un anno fa e su di loro si è generata molta curiosità. Stiamo parlando dei superdirettori” nominati dal ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini nel 2015, a capo dei musei autonomi. In origine erano 20, adesso sono 29, molti dei quali stranieri. Ieri otto del gruppo dei primi 20 si sono incontrati a Lubec – Lucca Beni Culturali, e hanno raccontato al pubblico della rassegna cosa è cambiato dal loro insediamento.

Qualcosa è cambiato come ha sottolineato anche il Sottosegretario del Mibact Antimo Cesaro, citando il titolo della rassegna. C’è davvero un’inversione di tendenza anche in termini di investimenti e politiche pubbliche, come ad esempio quella relativa al Pon Cultura il programma operativo Cultura e Sviluppo 2014 – 2020 cofinanziato dai fondi comunitari (Fer) e nazionali, per un ammontare complessivo di circa 490,9 milioni di euro. “La cultura è davvero il motore dello sviluppo e gli investimenti in questo settore hanno un moltiplicatore pari all’1,8. Cioè se si investe 1, il ritorno sarà di 1,8”, ha commentato. E poi, ha precisato il sottosegretario, ci sono in atto altre misure, come ad esempio quella del Cinema2Day, che dà la possibilità di andare al cinema il secondo mercoledì del mese pagando solo 2 euro il biglietto. “Sono tutte azioni volte a permettere di avvicinare la cittadinanza alla cultura, anche in un momento in cui molte famiglie devono far quadrare i conti per arrivare a fine mese”
“Qualcosa è cambiato, è vero – ha detto Peter Assmann, direttore del Palazzo Ducale di Mantova – ma siamo solo all’inizio di un processo. I problemi che abbiamo in questa fase sono molto grandi. Ad esempio, c’è una soprintendenza che tutela e conserva, ma che non investe. Per me che sono straniero, austriaco, questo è strano. E poi le altre istituzioni guardano con gelosia questo nostro sistema di gestione, in cui ci sono molti stranieri, che vengono guardati quasi come un pericolo”. Uno dei problemi da superare è dunque secondo Assmann quello della libertà di gestione. Solo attraverso quest’ultima sarà possibile far diventare la reggia di Mantova un museo di standard internazionale.
Una situazione un po’ diversa per Serena Bertolucci, direttrice del Palazzo Reale di Genova, che si è definita una “donna fortunata”, nel rapporto collaborativo con Soprintendenza e Regione. “Ma la situazione – ha riconosciuto – è comunque complessa. Il Palazzo Reale era un anno fa un museo che non c’era, una costola della Soprintendenza, priva di autonomia. Il fatto di esserci è il primo cambiamento importante. Poi c’è stata la necessità di comprendere che siamo una rete, e che in una regione piccola non si dirige solo il museo ma il polo museale”. Questo ragionamento va a toccare un’altra problematica, relativa ai problemi di personale, con particolare riferimento ai custodi.
Problema particolarmente sentito anche da Paola D’Agostino, direttrice del museo nazionale del Bargello di Firenze e di altri 4 gioielli cittadini: Cappelle medicee, Orsanmichele, il Davanzati e Casa Martelli. La carenza di personale obbliga a stare chiusi, nonostante i numeri siano di tutto rispetto. “Al Bargello – ha detto la D’Agostino – ne abbiamo 230mila, alle Cappelle Medicee. Ma alcune delle 5 strutture sono aperte solo un giorno alla settimana, oppure sono costrette ad un orario ridotto”. Altra aspetto riguarda la comunicazione: bisogna implementarla. “Alle volte – ha confessato la direttrice – sono io a gestire l’account Instagram del Museo”.
Per tutti, comunque, si registra un trend positivo di visitatori. A livello di presenze abbiamo registrato una crescita di presenze del 52% – ha affermato Eva Degl’Innocenti, direttrice del museo archeologico nazionale di Taranto (Marta) – con un +67 per cento dei ricavi”.
“Il museo – ha aggiunto – è un’eccellenza internazionale ma ha anche legame forte con il territorio. Abbiamo puntato su 5 azioni: organizzazione gestionale, ricerca, educazione, comunicazione e promozione, cultura editoriale e di mostre. Siamo nell’anno zero di questa fase di cambiamento”.
Il primo anno è l’unità minima di tempo quando, specialmente quando si parla di pubbliche amministrazioni, come ha commentato Mauro Felicori, direttore della Reggia di Caserta. “Il primo anno ci dimostra che la strada è quella giusta”. Sicuramente merito delle nuove gestioni, ma Felicori osserva che forse sono anche “molti i demeriti” di chi li ha preceduti. Riguardo alle problematiche del personale precisa: “La colpa non la do ai sindacati, ma a chi ha accettato di dare ai sindacati un potere sulla gestione del personale che non esiste altrove”. E Felicori spinge anche sulla necessità che si intervenga su sostenibilità e accessibilità. “Già per qualcuno può essere difficile arrivare alla Reggia di Caserta, figuriamoci altrove”. E per quanto riguarda la promozione lancia un monito alle istituzioni. “Se la Reggia deve essere promossa, ad esempio in una fiera a Milano, è necessario che sia la Regione Campania a farlo”.
Ma tornando all’autonomia: potere vuol dire responsabilità. “La nuova figura del direttore di musei autonomi prevede un’assunzione di responsabilità e di trasparenza da parte dei direttori che dicono cosa si farà nei prossimi 4 anni. Una dichiarazione di intenti che significa chiarezza e trasparenza”. A raccontare la sua esperienza è Paolo Giulierini, direttore del museo archeologico nazionale di Napoli, che sorge nel rione Sanità. Per questo, per coinvolgere i giovani e le persone del territorio, “abbiamo realizzato un guida in napoletano del museo. A livello di economia ci si sta impegnando a sostenere le micro cooperative di giovani. Il museo deve salvare se stesso ma anche coloro che gli stanno accanto, ascoltando la voglia dei giovani di emergere”.
Per Marco Pierini, direttore della galleria nazionale dell’Umbria di Perugia, è stato un anno complicato ma entusiasmante. “Non è un museo, è un’avventura –  ha affermato scherzando – Pensate che per mandare un documento via mail dovevo firmare tre fogli: velina, minuta e originale. Ma le cose stanno cambiando”. In generale l’obiettivo è quello di cambiare anche la percezione del museo delle persone. Il museo non deve essere subito come qualcosa di noioso. In Italia sono le mostre che attirano le persone, che in realtà, come accade ad esempio per il Louvre in Francia, dovrebbero venire a prescindere da esse. “Con l’autonomia, con gli introiti dei biglietti, possiamo decidere di pagare le bollette, senza aspettare i finanziamenti dall’alto. Ma dobbiamo comunque decidere a cosa destinare gli incassi, perché per pagare tutto non bastano, quindi magari bisogna organizzare una mostra e finalmente possiamo decidere di farlo dall’interno – precisa Pierini – Noi dobbiamo essere anche comunicatori del nostro lavoro, piacere e il dovere di comunicare tutto ciò che il museo fa”.
La Galleria degli Uffizi ha invece puntato moltissimo sull’innovazione tecnologica, con la creazione di un dipartimento di comunicazione digitale. “Non esisteva un sito degli Uffizi – ha raccontato il direttore Eike Schmidt – abbiamo riacquistato il nome a dominio e adesso siamo online, con una versione provvisoria, ma comunque già abbastanza completa di tutto. Siamo presenti e molto attivi sui principali social, come Twitter e Periscope. Il tutto associato anche ad un’altra grande iniziativa, le Uffizi Nights, con performance artistiche dentro alla galleria”, davanti alle opere e con le opere. Il riscontro è stato ottimo. “Lo spettacolo dal vivo ha cambiato la demografia degli spettatori: nel 2016 le presenze sono cresciute dell’81,21 per cento nelle aperture serali, anche infrasettimanali, che hanno portato molti fiorentini al museo”.

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