Molini e filande, si svela la storia industriale di Lucca

Un percorso sulle tracce dell’archeologia industriale nel territorio del Comune di Lucca. E che potrebbe trovare posto nelle sale del terzo piano del Must, una volta riaperto dal Comune, oppure sostanziarsi in una mostra fotografica e documentale proprio in una delle vecchie industrie cittadine, sia essa la manifattura tabacchi o la Cucirini Cantoni della Santissima Annunziata.

E’ questo il progetto portato avanti da Francesco Petrini, ex dirigente scolastico e da sempre interessato all’argomento, insieme a un team di ricerca composto da Maria Virginia Paradisi e Chiara Mazzanti e dalla fotografa e web designer Cinzia Ricci, con il sostegno della Fondazione Banca del Monte di Lucca. Stamani (30 novembre) si è tenuta la presentazione della prima fase del progetto, quello di raccolta e codifica dei materiali e delle fotografie. Dalle quali emerge una città, quella di fine Ottocento e inizio Novecento, interessata da una profonda innovazione, dai primi opifici alla prima industrializzazione proprio lungo l’asse del condotto pubblico.
“C’è grande attenzione ed interesse per il progetto – ha commentato Pietro Paolo Angelini, portando i saluti del presidente della Fondazione Bml, Alberto Del Carlo – Anche e soprattutto perché i contenuti di questa ricerca possono essere diffusi anche nelle scuole. Se non ritroviamo le nostre radici, infatti, non sappiamo bene chi siamo in questo momento di incertezza”.
Entra nel dettaglio Francesco Petrini: “E’ un progetto work in progress – dice – per far fruttare e mettere a disposizione del territorio una ricerca che risale agli albori dell’industrializzazione lucchese e affonda le sua radici anche nella storia sociale. Partendo in particolare dal pubblico condotto, costruito nel XIV secolo dalla Repubblica Lucchese, e in grado di alimentare alcuni mulini a ruota per la lavorazione del grano. Poi sono nati altri opifici in un contesto socioeconomico di carattere protoindustriale”. Almeno fino all’arrivo in cità di Emanuele Balestreri: “Lui – ricorda Petrini – genovese di nascita – acquistò all’asta un capannone industriale per installarvi lo jutificio di Ponte a Moriano, primo esempio di industrializzazione che comportò un notevole cambiamento di usi e costumi e anche la trasformazione urbanistica del territorio. Dopo di lui da ricordare anche la figura di Niemack che da porta San Jacopo portò la sua produzione di filati prima a Marlia poi all’Acquacalda dove insieme ad altri imprenditori creò la Cucirini Cantoni Coats”. Tutte realtà, per Petrini, che meritano anche il vincolo della Soprintendenza: “Sullo jutificio – dice Petrini – la pratica è già avviata ma giace in un cassetto da un paio d’anni. Di sicuro tutto questo percorso sarebbe da riqualificare e valorizzare. Le “mitiche” Sei Miglia potrebbero diventare anche un punto di attrazione turistica al di là della fruizione “mordi e fuggi” della città”.
L’obiettivo, a medio o a lungo periodo, è triplice: “Da una parte – spiega Petrini – potremmo realizzare una mostra di sette giorni in un contenitore del Comune, meglio se si tratta di un monumento di archeologia industriale. In secondo luogo siamo in grado di mettere a disposizione del Comune il materiale per il futuro Museo della Città a Palazzo Guinigi, secondo il progetto già in cantiere dell’amministrazione per il terzo piano della struttura. Infine sarebbe interessante parlare di queste cose nelle scuole. Per questo ho già incontrato la dirigente Donatella Buonriposi”.
“Una bella ricerca – ha commentato il sindaco Alessandro Tambellini – e di grande iteresse per le origini dell’industrializzazione lucchese. Tutto ruota intorno alla derivazione delle acque del Serchio, dove nacquero le prime attività molitorie e di tessuti. E proprio per questo pensiamo di inserire nel Must una sezione dedicata alle origini dell’industria lucchese. Il repertorio fotografico è davvero di notevole interesse per ripercorrere la storia e vedere i cambiamenti del territorio. L’ambizione è quella di ricostruire la città ideale, infatti. Il centro storico, con gli ultimi interventi, è largamente rimesso a posto, ora si può anche pensare al recupero degli importanti manufatti industriali rimasti nelle Seimiglia. Peraltro mi risulta che al Piaggione sia in corso un recupero anche industriale dell’area”.
Ricordi di un passato non troppo lontano (sono circa una decina le industrie ancora visibili) che parlano anche di un diverso tipo di società, pronta al passaggio da una tradizione rurale e artigiana a quella industriale. E’ questa, la parte della storia sociale, di cui si sono occupate le due ricercatrici del progetto. “In particolare – dice Maria Virginia Paradisi – mi sono occupata della parte dell’assistenza ai bambini rimasti orfani e che trovavano spazio alla Pia Casa, allora a Villa Guinigi. I maschi trovavano spesso lavoro presso le botteghe degli artigiani, fin dall’età di dieci anni, le femmine venivano mandate a servizio. Il direttore della Pia Casa dell’epoca, però, non acconsentì mai alla richiesta di manodopera che arrivava dall’industria”.
Il progetto, grazie al lavoro di Cinzia Ricci, è pronto anche a sbarcare sul web: “Da anni – dice – mi occupo della raccolta e della catalogazione degli arredi urbani e storici di Lucca. Quando ho sposato questo progetto sul condotto pubblico ho potuto così contare sull’archivio già esistente per contribuire alla ricerca. Si tratta di un lavoro già archiviato e già pubblicabile su internet”.

 

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