Del Grande: “Non vedo l’ora di tornare in Turchia”

La battaglia di Gabriele Del Grande continua anche dopo la liberazione dalla detenzione in Turchia. Sono passate da poco 24 ore dal suo ritorno in Italia a Bologna e Del Grande è già ospite della sala della stampa estera in via dell’Umiltà a Roma per raccontare la propria esperienza durata due settimane in un centro di identificazione turco. Con lui la moglie Alexandra D’Onofrio, il senatore Pd Luigi Manconi, l’avvocato Alessandra Ballerini e il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti.

Del Grande ci tiene a sottolineare come la sua battaglia prosegue per i tanti, troppi colleghi ancora detenuti in Turchia e in altri paesi: “Io – ha detto – rappresento il caso più fortunato visto che tutto si è risolto con un po’ di pressione diplomatica e qualche telefonata fra i ministri degli esteri. Ma ci sono colleghi che sono in carcere o sotto processo e non solo in Turchia e per loro mi voglio continuare a battere”. Intanto il prossimo 2 maggio ci sarà una manifestazione, promossa dalla Fnsi, a supporto dei 174 turisti turchi detenuti al momento.
“Come ho detto ai poliziotti che mi hanno accompagnato all’aeroporto – spiega – io vado via ma non vedo l’ora di ritornare con un sentimento di rinnovata amicizia nei confronti del popolo turco. Non è stato un incidente fra popoli ma una violenza istituzionale, una situazione di sospensione del diritto. Non so le imputazioni, non ho avuto accesso ai fascicoli. E sia chiaro che sono entrato nel paese con un passaporto regolare e un timbro regolare e non volevo in alcun modo entrare in Siria”. “Durante la detenzione – ha spiegato – ho ricevuto domande che mi dicevano arrivassero direttamente da Ankara, inerenti al mio lavoro, cui mi sono sempre rifiutato di rispondere”.
Sul suo lavoro Del Grande spiega: “Sono un cronista sui generis, dietro di me non c’è nessun editore. Non mi piace però l’idea di tornare ed essere accolto come un eroe. Chiedo di essere giudicato in base al lavoro che faccio e che farò. Sono passati circa due anni da “Io sto con la sposa”, progetto giornalistico prodotto dal basso. Ora stavo lavorando per una ricerca per un libro che racconti la storia della guerra in Siria, “Un partigiano mi disse” con le stesse persone, che ringrazio, che hanno permesso di produrre il documentario”.
Del Grande ha raccontato anche i drammatici momenti della detenzione: “Il momento più difficile – ha raccontato – è stato quello della detenzione e dell’isolamento. Ero lì, non ne sapevo il motivo e non mi facevano parlare con nessuno. Per questo ho cercato di poter parlare con le persone a me più care e l’ho fatto con forza, anche lanciando oggetti all’interno del luogo in cui ero detenuto”.
Il giornalista racconta anche il momento dell’arresto: “Sono stato fermato a Rihanli in un ristorante durante un pranzo in cui ero a conoscere una delle mie fonti. Si sono presentati otto agenti in borghese che ci hanno mostrato un distintivo, chiesto i documenti, siamo stati fatti scendere, caricati su due macchine diverse senza distintivi di forze dell’ordine e portati in quella che apparentemente era una sede di polizia ed interrogati. Dalle 16 la cosa è durata fino a mezzanotte e poi siamo stati trasferiti al centro di detenzione di Antakya”.
Parla anche la moglie, Alexandra D’Onofrio: “La sua – dice – è stata la liberazione di una voce e lp dico come compagna ma anche come compagna di lotte. Quello che è successo oggi è stato determinato dalla grande mobilitazione affinché fosse liberato lui e assieme a lui una nuova storia tutta da raccontare”.
Del Grande in prima serata è stato ospite della trasmissione di Raitre, Gazebo dove ha raccontato altri dettagli della detenzione: “Dopo la detenzione nel centro di Antakya alla mezzanotte del mercoledì – ha detto – sono stato trasportato dopo un viaggio di dieci ore in un altro luogo dove sono rimasto in isolamento e senza possibilità di parlare con l’esterno. E’ stata la situazione più difficile, tanto che a un certo punto ho ‘sbroccato’ e nella giornata di venerdì me la sono presa con tutte le cose che c’erano nella cella dove ero detenuto, porta, mobiletti, grate. A quel punto mi hanno invitato a calmarmi e mi hanno permesso di telefonare e di annunciare la mia situazione. Solo lì ho saputo della mobilitazioen che c’era stata in Italia”.

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