Geologo Ingv: “Garfagnana, rischio alto per terremoti” foto

Un sistema in continuo movimento, dove enormi masse di roccia si spostano generando tensione e accumulando energia, in un modello matematico nel quale interagiscono più variabili, da quelle più importanti a quelle che caratterizzano ogni singola microplacca del suolo italiano. In questo scenario nella Toscana centro nord occidentale ci sono due punti di particolare interesse per i geologi: la Valle del Serchio e la zona volterrana con la Val di Cecina.

Lo scenario che racconta Carlo Meletti, geologo e ricercatore della sede di Pisa dell’Ingv per il quale è il coordinatore del centro di pericolosità sismica nazionale, è abbastanza complesso. “L’Italia – dice – per i geologi, è un sistema di microplacche e ciascuna è soggetta a movimenti particolari. Questo determina un’interazione complessa con quelle che sono le forze geologiche, che agiscono sullo stivale, soggetto alla spinta del continente africano verso l’Europa”. “Quindi – spiega Meletti – da un lato abbiamo una spinta generale tra placche, dall’altro abbiamo il sistema Italia dove esistono microplacche che si muovono in continuazione”. Insomma, un insieme in continuo movimento che genera faglie, i punti di contatto tra le microplacche, dove potenzialmente può liberarsi l’energia sismica. I punti più caldi sono quelli lungo la dorsale appenninica, ma in Italia le faglie non sono solo in Appenino.
Un complesso puzzle dove le tessere vengono sottoposte a varie forze che ad un certo punto liberano energia. Lì si verifica il sisma.
In Toscana i riferimenti delle zone simiche sono lungo l’Appennino, quindi per la zona nord occidentale della regione: questo significa Garfagnana e Apuane, più a sud la zona dell’Amiata e dell’Appennino aretino e senese. “Nella valutazione scientifica dice – Meletti – noi possiamo dire quali sono le zone sismiche, possiamo fare una stima dell’energia che i terremoti liberano, possiamo vedere le faglie, ma non possiamo sapere con precisione in che punto l’energia si libererà, quando e con quali effetti”.

La Valle del Serchio e i terremoti
“Di sicuro – prosegue Meletti – la Garfagnana è una zona interessante, dove sappiamo che un sisma si verificherà, anzi, se volete un riferimento scientifico, posso dire che le stime indicano che lungo la faglia che interessa la Garfagnana potrebbe verificarsi un evento sismico di magnitudo fino a 7 della scala Richter, quindi con una liberazione di energia maggiore rispetto al sisma di Amatrice, per avere un riferimento vicino nel tempo”. Questo non significa che gli effetti debbano essere gli stessi perché poi nell’evento sismico ci sono varie questioni di cui tenere conto. Su base scientifica però è possibile stimare che l’energia liberata potrebbe essere maggiore di quella del terremoto del Centro Italia.
Un dato che non deve essere letto in termini allarmistici, ma semplicemente con la freddezza e la razionalità della scienza, infatti Meletti non si limita a buttare lì l’informazione, ma cerca di spiegarla anche a chi di lavoro non fa il geologo. “In sostanza – continua il responsabile Ingv della pericolosità sismica – abbiamo due dati che ci permettono di stimare la situazione della faglia che interessa la Garfagnana. Il primo è quello storico: a inizio Novecento qui abbiamo già avuto un sisma importante (Villa Collemandina 1920, ndr). Poi ci sono i dati legati all’osservazione dei fenomeni: la Valle del Serchio va pensata come una zona di faglia dove da un lato c’è la massa della Apuane, dall’altro quelle degli Appennini che si spostano verso la pianura Padana. Noi abbiamo visto che ogni anno l’Appennino si muove di alcuni millimetri, ad indicare che le microplacche sono in continua attività e quindi sicuramente stanno caricando energia”. Uno spostamento minimo, si parla di pochi millimetri, ma che anche in modo approssimativo, per avere un’idea di cosa sta accadendo, va moltiplicato per le grandi masse e grandi superfici che interessa.
“L’Appennino si muove anche qui, quindi – prosegue Meletti – lasciando indietro parti di territorio e la roccia è soggetta a trazioni e compressioni. Fino a un certo punto tiene, poi strappa e si libera il fenomeno sismico”.
Da notare che Meletti parla sempre di fenomeno sismico e non genericamente di terremoto, perché nonostante la grande energia liberata, non è possibile prevedere in che modo questa si sprigioni e quindi l’entità dei danni che si potrebbero produrre sul territorio. Di sicuro c’è che esiste una stima matematica che permette di quantificare l’energia che si potrebbe liberare da quella faglia: osservando la carta elaborata dall’Ingv, la faglia della Garfagnana è indicata con un colore rosso scuro, ovvero uno dei gradi più alti della pericolosità sismica. La carta è stata elaborata assegnando ad ogni zona un indice, numero che rappresenta l’energia che potrebbe liberarsi sotto forma di accelerazione di gravità sul suolo dove 1G (ovvero 9,8 metri al secondo), indica il 100% e quindi il livello più alto della scala con un approssimazione del 10 per cento. Per avere un’idea, per la zona dove si è verificato il sisma di Amatrice, la carta indica che il fenomeno sismico può liberare energia quantificabile tra 0,250 G e 0,275 G, al momento sulla carta, che è un modello in continua evoluzione sulla base della nuove osservazioni, in Garfagnana l’energia liberata da un fenomeno simico è tra 0,225 G e 0,250 G, quindi di poco inferiore ai numeri che rappresentano l’accelerazione a cui è stato soggetto il suolo ad Amatrice. Situazione completamente diversa nella Piana di Lucca, nel Piano di Pisa, il Basso Valdarno, dove l’indice si attesta tra 0,100 G e 0,125 G. Ovvero più basso di quello assegnato attualmente all’Emilia.

La zona geotermica di Volterra e della Valle della Cecina.
Altra zona sismica nella Toscana centro occidentale è l’area volterrana e della Valle della Cecina. “Qui – spiega Meletti – siamo di fronte ad un’area dove l’energia che potrebbe liberarsi durate un sisma è rilevante, ma la situazione è diversa. Come riferimento prendiamo il fatto che l’Amiata, fino a 40mila anni fa, era un vulcano attivo. In questa zona ci aspettiamo una magnitudo in caso di eventi simici un po’ più bassa rispetto a quella appenninica. Nella zona geotermica poi – continua Meletti, precisando che parla di attività sismica naturale – la distensione tra microplacce è maggiore, tanto da avere le fratture da dove risale materiale caldo e la sismicità si è spostata più verso l’intero del territorio rispetto al mare. In pratica, per spiegarla semplicemente, qui la roccia della microplacche è più calda, quindi più plastica e in grado di reagire diversamente e in modo un po’ meno violento alle forze a cui viene sottoposta dagli spostamenti. L’effetto è che qui abbiamo terremoti un po’ più frequenti ma di minore intensità dal punto di vista dell’energia liberata”. In sostanza il concetto è quello che un materiale caldo aumenta la sua tolleranza alle pressioni. Nella zona pisana uno dei terremoti più violenti che è stato rilevato è quello che risale alla fine dell’Ottocento, quando il sisma rase al suolo Orciano pisano e Fauglia, ma ebbe un’intensità minore rispetto a quelli della dorsale appenninica. Motivo per cui, anche dal punto di vista storico e quindi dell’incidenza statistica in quest’area, ci aspettiamo fenomeni sismici ma un po’ meno forti”.

La classificazione sismica della Toscana e l’attività di prevenzione
La ricerca scientifica ha permesso a chi deve attivarsi per operare in modo che i terremoti facciano meno danni possibile, di sapere qual è il rischio sismico di un territorio tanto che nel corso degli anni sono nate più classificazioni sismiche del territorio nazionale sempre più precise e sempre più puntuali.
A inizio Novecento, la prima classificazione simica che fu fatta teneva conto solo del parametro storico ovvero divideva il territorio nazionale in due classi: la 1 dove si era verificato un sisma e la 2 dove non si erano mai verificati terremoti. Uno strumento estremamente parziale. Per arrivare ad una classificazione dell’Italia simica più recente bisogna attendere gli anni ’80 dopo i terremoto dell’Irpinia. “Nel 1980 – spiega ancora il geologo – la comunità scientifica propose una riclassificazione sismica di tutta la penisola basata sui dati storici. La prima stesura di questa carta nacque nel 1984. Ma anche qui le classi erano sempre due e in pratica si era andati verso un aggiornamento della classificazione di inizio secolo. In quel momento, una gran parte della Toscana era in zona 2 ovvero dove il rischio sismico non era rilevante. Continuavano infatti a esistere solo due classi. Per trovare una classificazione più articolata e più precisa bisogna arrivare a San Giuliano di Puglia. Dopo San Giuliano di Puglia, l’Italia è stata nuovamente riclassificata tenendo conto di nuovi parametri, perché le conoscenze nel frattempo sono andate avanti e nasce un’Italia divisa in quattro classi dal punto di vista simico”.
“Quel modello – prosegue Meletti – – è stato utilizzato per le ordinanze di protezione civile per riclassificare tutta l’Italia, selezionando dei valori di soglia dal parametro 1 quello che esprime la maggiore pericolosità sismica, fino a 4 con un rischio sismico non rilevante. Nel 2006 questo modello viene recepito dalla regione Toscana e aggiornato tra il 2010 -12. Da questo studio emergeva che gran parte della Toscana (provincia di Lucca, Pisa, Siena) andavano in zona 3 anziché la vecchia zona 2. La Regione disse che tutti i comuni che erano in zona 2 venissero lasciati in zona 2. In quel momento storico, la classificazione di un territorio vincolava la progettazione degli edifici: chi era in zona 2 era costretto a costruire con parametri molto più stringenti. In pratica i progetti dovevano essere approvati prima dell’inizio dei lavori dal Genio Civile che ne valutava gli effetti e quindi la resistenza in caso di attività sismica. Nel 2009 sono state promulgate nuove norme tecniche per la costruzione per le zone e a ogni località è stata assegnata una zona, un indice che esprime il rischio simico (una mappatura quindi ancora più capillare ndr)”. “A quel punto in Toscana – continua Meletti – essendo la progettazione non più legata alla classificazione Lucca, Pisa, la piana di Lucca, le zone di pianura della provincia di Pisa, sono state collocate in zona 3, mentre la Garfagnana la Mediavalle del Serchio sono rimaste in zona 2. La normativa sismica continua a dire che in zona 1 e 2 i progetti devono essere approvati dal Genio civile prima della costruzione, mentre in zona 3 si hanno solo dei controlli a campione dopo la costruzione. Una soluzione nata per evitare che il Genio civile rimanesse affogato nei carichi di lavoro: avendo gran parte della Toscana in zona 2, i progetti da controllare prima di questa normativa erano tantissimi”.
“Dal punto di vista della sicurezza sismica non è cambiato nulla quindi – spiega Meletti – e si continua a progettare tenendo conto della pericolosità sismica di ogni singolo sito. Inoltre le quattro zona sismiche servono per il sistema della verifiche e le politiche di prevenzione, ad esempio si dice che per la zona 1 e 2 ci sono gli incentivi fiscali per miglioramenti sismici. Oppure se una Regione o un ente deve fare un’attività preventiva, si comincia ad attuarla dalle zone 1 e 2 quelle dove il rischio simico è maggiore”.
“Fondamentale comunque – conclude il responsabile del rischio simico dell’Ingv – è tenere conto della prevenzione sismica ogni giorno in ogni attività: questo può attenuare in modo rilevante per la vita della persone i danni che un evento sismico può generare in un territorio. Oggi esistono molte tecnologie che permettono di attenuare, o meglio dissipare, l’energia liberata da un evento sismico prima che arriva a determinare crolli e tragedie come quella dei terremoti a cui abbiamo assistito in questi giorni”.

La cultura edificatoria sismica nella storia
Secondo Piero Pierotti ex docente di urbanistica dell’università di Pisa, per molti anni riferimento sugli studi urbanistici ed ecostorici anche a livello europeo, nel mondo esistono da prima che l’uomo potesse misurare l’energia liberata durante un terremoto o scoprire la tettonica a zolle, vari tipi di cultura edificatoria sismica. Ovvero nelle zone dove il terremoto si era già verificato, gli omini fin dall’antichità hanno cercato di edificare tenendo conto che il fenomeno poteva ripetersi. Il Giappone si è inventato le case di carta di riso e legno. Per fare un esempio, in Val di Lima e Garfagnana, una della zone più studiate da Pierotti, la cultura edificatoria simica aveva portato gli abitanti a sviluppare una serie di accorgimenti nell’edificazione dei centri urbani che quanto meno attenuassero, se non scongiurassero, gli effetti di un sisma. Una sorta di prevenzione rudimentale ed empirica che però aveva creato una vera e propria cultura della costruzione secondo alcune regole fondamentali che possono essere riassunte nella realizzazione di strutture concatenate tra loro in grado di assorbire l’onda dell’energia simica, scaricandone gli effetti su più edifici uniti da un sistema diremmo oggi di ‘ammortizzatori’, dove l’energia si dissipava. Tutto questo è stato fatto nel corso dei secoli, senza particolari conoscenze scientifiche e questi accorgimenti hanno permesso di far sopravvivere i centri storici della Valle del Serchio fino ad oggi.

Gabriele Mori

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