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Sicurezza sul lavoro, Rossi incontra i 74 neo ispettori

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Hanno riempito l’auditorium del consiglio regionale con i numeri dell’azione dispiegata: cinquecento aziende (o poco meno) controllate in due mesi. Aziende cinesi. E un obiettivo: garantire un lavoro sicuro e il rispetto delle regole. Ieri (20 novembre) i settantaquattro tecnici e ispettori per la sicurezza sui luoghi di lavoro assunti nei mesi scorsi dalla Regione per passare al setaccio 7.700 aziende a rischio dell’area vasta di Firenze, Prato e Pistoia hanno incontrato il presidente della Toscana Enrico Rossi. Una riunione di lavoro e un modo per sentirsi parte di un unico grande progetto, dove entusiasmo, spirito di squadra e orgoglio erano ben evidenti. Quindici regioni e storie diverse racchiuse in una stanza: i siciliani secondi solo ai toscani, trentuno anni l’età media. Una riunione per stilare un primo bilancio e raccogliere qualche suggerimento, ma anche l’occasione per sottolineare (da parte della Regione) quanto si creda al ruolo assegnato a questi tecnici assunti per tre anni ma un orizzonte più ampio: il ruolo di ispettori dalla parte dei lavoratori, rappresentanti di uno Stato che sì sanziona ma sopratutto cerca di prevenire drammi come il rogo che i 1 dicembre di un anno fa divorò a Prato sette operai cinesi dentro la fabbrica dove lavoravano e vivevano.

“In un mondo globalizzato non si può imporre alle persone di non muoversi e non emigrare. L’immigrazione anzi può essere una grande risorsa, anche economica – sottolinea Rossi –. Sogno una Toscana con un distretto delle confezioni come quello pratese forte e competitivo, ma dove ci sia rispetto per i lavoratori e la sicurezza nelle aziende e dove naturalmente si paghino le tasse. Che vale per le ditte cinesi ma anche per gli italiani”. Una sfida, ammette il presidente. “Ma una sfida – dice – che possiamo vincere”. Su quasi cinquecento visite ad altrettante aziende effettuate tra settembre ed ottobre dai settantaquattro neo ispettori, con un ritmo di uscite raddoppiato dall’inizio di novembre, le irregolarità non sono infatti mancate. Sono state scoperte altre fabbriche dormitorio e sono scattati sequestri, ma ci sono state anche aziende in regola o che hanno deciso di adeguarsi. A Prato in particolare, su centocinquantaquattro ditte controllate – con 32 imprese chiuse e 120 dove qualcosa non andava (irregolarità a volte solo lievi) – ventisei erano a posto. E soprattutto tra le aziende che ancora non hanno ricevuto visite in 147 hanno avviato l’iter per aderire al patto per il lavoro sicuro, con cinquanta che lo hanno già firmato. Un segnale incoraggiante registrato anche dai neo ispettori. “Per una sorta di effetto eco le aziende cominciano ad adeguarsi” racconta Giulia, siciliana trapiantata a Firenze. “Forse – aggiunge – organizzare dei corsi di formazione sulle normative che molti non conoscono e non capiscono (e conseguentemente non rispettano) aiuterebbe”. Certo con una comunità chiusa a riccio tutto si complica. “C’è diffidenza reciproca” annota Silvia, che è nata a Lecce, da dodici anni vive in Toscana e ora lavora all’Asl di Prato. A volte è anche difficile individuare le aziende: i numeri civici vengono cambiati, i contratti di affitto non tornano. “Ma sono sicura che riusciremo, mattone dopo mattone, a far integrare questa comunità” risponde Alessandra, un viaggio da Palermo a Pistoia, emigrante chiamata a vigilare sul rispetto delle condizioni di sicurezza di altri emigranti. Ed è lo stesso sogno coltivato dalla Regione.

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