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Rossi: “Investimenti e fiducia ai giovani, così si può ripartire”

Investimenti e giovani. I due corni forse più acuti della crisi che ha colpito il mondo, l’Italia e la Toscana dal 2008 – gli investimenti che sono diminuiti e i giovani sempre più poveri, ancora precari e che un lavoro non riescono a trovarlo – sono per il presidente della Toscana Enrico Rossi anche la soluzione per uscire definitivamente dalla crisi, la più lunga patita dal novecento. Servono più investimenti pubblici e non basta sostenere quelli privati, dice Rossi. Lo sottolinea partecipando all’iniziativa ‘La Toscana e noi’ organizzata dall’Unicoop, che nella regione conta almeno un socio nell’80 per cento delle famiglie,intervistato sul palco del teatro ‘La Pergola’ a Firenze assieme alla presidente del consiglio della cooperativa Daniela Mori.

“Investire, investire, investire – ripete Rossi all’infinito – perché è così che se ne può uscire. Investire come ha fatto Unicoop”. E poi i giovani, appunto. Il presidente della Toscana invita lo Stato ad altri investimenti coraggiosi, “riaprendo alle giovani generazioni le porte della pubblica amministrazione con un piano di assunzioni, anche mirate e qualificate, assolutamente necessario. Credo che le risorse ci siano – chiosa – Nessuno deve essere penalizzato, ma ciascuno deve fare la sua parte”. In economia si insegna che ad una fase di declino e stagnazione strutturale si risponde immettendo nel sistema elementi di squilibrio e provando così ad imboccare strade traverse. Gli investimenti, il sostegno alle aziende “più dinamiche e che vogliono essere competitive”, come fa la Regione con i fondi europei e come propone il governo con l’industria 4.0, e i giovani sono per Rossi quella possibile ‘traversa’. La Toscana ha infatti retto il colpo e l’export va bene. Ma non ci si può affidare solo all’export – dice – e una trentina di miliardi in più di investimenti pubblici vorrebbero dire almeno 600 mila posti di lavoro”.

L’importanza del dialogo sociale
Dura oltre un’ora la doppia intervista sul palco, tra riflessioni sui numeri dell’economia toscana presentati poco prima dall’Irpet, l’istituto regionale di programmazione economica, e sollecitazioni rispetto alla maggiore sofferenza della costa nei confronti della Toscana centrale, tra il nodo delle infrastrutture (da fare), la popolazione che invecchia e che, senza immigrazione, vorrebbe dire seicentomila toscani in meno alla fine del secolo e i giovani che vanno all’estero per maturare ma poi non tornano. Si parla anche dei toscani che tutto sommato consumano di più (e risparmiano anche di più) della media italiana, non solo per la spesa in tavola ma anche per libri e associazioni. Si parla della resilienza toscana legata anche ad una maggiore coesione sociale. “Da soli – annota Rossi – gli investimenti non basterebbero se non si mantiene la capacità di mantenere vivo il dialogo sociale”. E così facendo evoca di fatto quegli investimenti in beni intangibili di cui già parlava l’economista Stiglitz, premio Nobel nel 2001.

Tagli alle Regioni, Rossi preoccupato per gli investimenti
Il giorno dell’iniziativa al teatro ‘La Pergola’ è anche quello in cui su media e giornali si allunga lo spettro di ulteriori tagli ai bilanci delle Regioni – 2,7 miliardi di euro –, che arrivano dalla precedenza finanziaria ma che rischiano di diventare concreti se non si troveranno correttivi. “E’ qualcosa che mi preoccupa – confessa Rossi –. Sarei disposto a fare qualche sacrificio in più sulla spesa corrente, se necessario, ma se si bloccano gli investimenti è un problema, per i servizi e la competitività del sistema”. Al netto dei fondi europei e della la sanità, la Regione Toscana aveva nel 2010 un capacità di spesa effettiva pari a 2 miliardi e 300 milioni. “Già oggi – spiega il presidente – si sono ridotti a 1 miliardo e 500 mila euro”.

Ridurre le forme di lavoro precario
Sui giovani Rossi ricorda l’impegno della Regione con il progetto Giovanisì, “che tra tirocini, aiuti sull’affitto per andare a vivere fuori dalla famiglie, stage, servizio civile ed altre misure ha coinvolto dal 2011 trentamila ragazzi e ragazze ogni anno. Certo – ammette – non può essere la soluzione definitiva”. Lancia un messaggio nella bottiglia per il futuro: “occorre intervenire sullo snodo della formazione e ridare valore anche al lavoro manuale”. Sollecitato, parla pure degli effetti del Job’s Act. “Diminuiti gli incentivi, si sono ridotti anche i risultati. Va bene il Job’s act – dice – ma solo se facciamo dell’apprendistato di due anni e dei successivi tre (che godono della decontribuzione ndr) l’accesso primario al mondo del lavoro. Invece rimangono quarantatré forme di precariato spesso abusate”.

 

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