Figli maggiorenni: ecco quando cessa l’obbligo di mantenimento

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E’ un dato di fatto che i giovani d’oggi, rispetto ai loro genitori, raggiungano l’indipendenza economica più tardi, rimanendo a lungo a carico della loro famiglia di origine. Questo fenomeno, acuito dalla crisi economica e sociale degli ultimi anni, è oggetto di un vasto dibattito politico, sociale ed anche giuridico. Ci si chiede infatti sino a quando un genitore debba provvedere al mantenimento del figlio. Putroppo la legge non indica parametri precisi: prevede che l’obbligo del genitore non termini con il compimento dei diciotto anni da parte del figlio, quanto con invece con il suo raggiungimento della “indipendenza economica”. Questo vuol dire tutto e nulla: quando infatti un figlio può essere ritenuto tale? Una volta raggiunta la laurea o il master? Rileva l’impegno profuso nella ricerca di un lavoro? La giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha cercato di dare una risposta a tutte queste domande, esaminando un vasto numero di casi concreti. Recentemente la Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza 12952 del 2016.

La vicenda: il tribunale di Bari aveva accolto la domanda di un padre, disponendo la revoca dell’assegno di mantenimento per entrambi i figli maggiorenni, mentre la Corte d’Appello aveva riformato tale provvedimento, ritenendo che l’indipendenza economica dei due ragazzi non fosse provata. Il padre proponeva quindi ricorso per Cassazione, asserendo, tra le altre cose che la Corte d’appello non avvesse esaminato alcune circostanze decisive.
Rilevava infatti che la figlia femmina aveva conseguito la laurea in medicina, l’abilitazione alla professione di odontoiatra ed aveva altresì frequentato molti corsi di perfezionamento, maturando varie esperienze presso studi dentistici. Doveva ritenersi in grado di ottenere un lavoro qualificato per i suoi titoli, dato che, per sua scelta, aveva preferito frequentare corsi di specializzazione, riducendo la propria attività professionale. Aveva quindi errato la Corte d’Appello, che aveva considerato il lavoro della ragazza alla stregua di un mero praticantato, stabilidendo che il padre dovesse ancora contribuire al suo mantenimento. Riguardo poi al figlio maschio, il padre-ricorrente precisava che questi nel corso degli anni si era iscritto a due divesi corsi universitari, economia prima e fisioterapia poi, senza portarli a termine. Rilevava che successivamente si era iscritto ad un corso di formazione professionale in osteopatia, che era aperto a laureati o a studenti prossimi al conseguimento della laurea, talché dopo poco ne aveva interrotto la frequenza. Concludeva riferendo che doveva ritenersi provata l’inerzia colpevole del figlio-studente privo di fonti di reddito, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello.
La Suprema corte ha quindi cassato con rinvio la decisione della Corte d’appello, affermando che la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa ed, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta dal raggiungimento della maggiore età da parte del figlio. In sostanza il genitore, interessato alla cessazione del proprio obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, deve provare che quest’ultimo è economicamente indipendente, o che, il fatto che non lo è, dipende da una sua inerzia colpevole. Il giudice di merito valuta quanto provato dalle parti con criteri sempre più severi in relazione all’età del figlio. Infatti la posizione della persona che rifiuta ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo e negli studi non è tutelabile, e non comporta il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori.

A cura dell’avvocato Elisa Salvoni

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