Don Rosa: “Ho smesso perché stufo del sistema Disney” foto

I fumetti negli Stati Uniti? Soltanto supereroi. Don Rosa, storico cartoonist di personaggi disneyani, torna a Lucca dopo 24 anni e nella sua amata Europa, quella che ha dimostrato di apprezzare maggiormente i suoi lavori e la continuità con le opere del maestro Carl Barks, di cui è considerato l’erede.

La saga di Paperon De’ Paperoni, in particolare, è il suo marchio di fabbrica. Uno Scrooge un po’ diverso rispetto a quello cui si è abituati dall’adattamento italiano. “Io – apiega nell’incontro in Sala dell’Oro della Camera di Commercio – volevo raccontare storie di avventure. Alcuni amici avevano ottenuto la possibilità di pubblicare delle storie ‘disneyane’ e a me sarebbe piaciuto scrivere una storia di Zio Paperone. Quando fu pubblicata ricevetti un premio come miglior fumetto dell’anno. Quindi ne ho fatta un’altra, finché non ho deciso di liquidare l’azienda di famiglia fondata da mio nonno e dedicarmi a questo lavoro”. “Zio Paperone – spiega Don Rosa – era riconosciuto principalmente per una sua caratteristica, l’avarizia. A me questo aspetta non mi interessava e volevo qualcosa che o rivalutasse. Nella mia interpretazione Zio Paperone è più interessato ad acquisire trofei, cui tiene come se fosse un collezionista. Io volevo solo approfondirlo e renderlo più interessante secondo il mio punto di vista”.
Una produzione ‘pura’ non drogata dalle tante rivisitazioni commerciali, non ultima quella dei cartoni animati della serie Duck Tales. “Non mi piace – tuona Don Rosa – vedere che la Disney prenda le idee di Carl Barks e le mie per farne altro. Ritengo ad esempio un insulto che sia stato prodotto un portfolio dal titolo The art of Don Rosa”. “Negli Stati Uniti – spiega Rosa – è diversa l’attenzione rispetto alla produzione di fumetti. Qui 300 persone mi aspettano per un autografo, qui non si fanno Duck Tales. C’è gente che in America non ha idea che Paperino e Paperone sono stati un passato un fumetto e non c’è più un americano, probabilmente, che lo sappia. Ma i diritti sono della Disney e non c’è niente che io possa fare perché così non sia”.
Qualcuno chiede se potrebbe tornare indietro dalla decisione di non scrivere più storie complete: “No – risponde deciso ma sereno – Io sono cresciuto col bisogno di raccontare storie, in campagna, con i fumetti di mia sorella. Poi, a scuola, ho scritto storie con gli amici, quindi sono arrivate le fanzine. Non lo facevo per soldi ma per passione, visto che il mio lavoro era con l’azienda di mio padre, che peraltro era originario di Magnago, vicino Venezia. A un certo punto il sogno della mia vita è diventato realtà: dall’Europa mi hanno chiesto di sviluppare i progetti di Carl Barks e l’ho fatto per 20 anni. Avrei mollato molto prima, forse 15 anni prima, ma l’amore dei fan ha fatto sì ch continuassi il lavoro sui paperi”. “Il sistema Disney – ribadisce il concetto – ha distrutto le mie passioni Non mi sono mai pentito di aver deiso sdi smettere. Quello che mi preme di più, a questo punto, sono le persone che mi attendono per gli autografi. A volte sto anche 10 ore di fila senza alzarmi. Evito anche di bere per restarci e per questo mi è venuta anche la pressione alta. Più io sto seduto a quel tavolo più energie riesco a incamerare”. “L’unica cosa che ho fatto – precisa – prima di smettere è stato di mettere il copyright sul mio nome. Non ce la facevo più ad essere utilizzato per calendari e prodotti di vario tipo. Quello che mi dava più fastidio è che la gente pensasse che fossi un milionario. Ho cercato di impedire di usare il mio nome per cose di scarsa qualità. D’altronde si tratta del fumetto più famoso al mondo e quello che faccio lo faccio in un certo senso per un senso di rivalsa”.
A Don Rosa non piace la produzione fumettistica Usa: “In effetti – dice – non mi occupo di fumetti americani dagli anni Ottanta. In Usa hanno una sola idea: supereroi. Io sono cresciuto negli anni Cinquanta e Sessanta con ancora i cowboy Vedo serie che ogni cinque anni hanno bisogno di una iniezione di novità perché crollano le vendite e bisogna ripartire. Tutto si fa soltanto in funzione della commercializzazione e funzionano solo i supereroi. In Europa invece le persone pensano con la loro testa, in Usa se si fermano al mio stand riconoscono solo un fumetto che feci per un amico europeo con Paperone e Paperino travestiti da Batman e Robin. Cosa farei se fossi ministro ‘del fumetto’ in Usa? Ne starei fuori. Io vivo in un posto con tanto terreno intorno per tenere lontani gli americani. Se potessi andrei in Messico ma non lo posso fare perché negli anni ho accumulato tante cose: 15 flipper, due scaffali di libri antichi e due auto da collezione. Sarebbe difficile”.
La sua venuta a Lucca, così come il suo tour europeo, sono tutti in funzione dei fan. Non farà il turista a Lucca. “Non ho visto niente – dice – da quando sono qui. Ci sono per i fan e magari perché qualcuno guadagni qualcosa con la ia presenza. Magari porterò qualcosa a mia moglie. Mi sentirei in colpa di fare il turista senza di lei. Ci sono venuto però 26 anni fa a Lucca e mi sono goduto la città, le sue magnifiche mura, che in Usa avrebbero già abbattuto per farci un parcheggio”.
Don Rosa torna allo stand Panini, dai suoi fan a firmare autografi. L’America, un paese dove, dice “non c’è molta cultura” per ora è lontana. Meglio un mondo fatto di paperi e di avventure.

Enrico Pace

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