Traffico illecito di rifiuti, 5 arresti in Lucchesia

di Roberto Salotti
Lucravano, per l’accusa, sullo smaltimento di rifiuti pericolosi che invece di venire trattati e ripuliti dalle sostanze tossiche finivano direttamente in impianti tra Lucca, Livorno e Brescia. Un “oro” chiamato pulper, lo scarto delle lavorazioni della carta: fanghi che, stando alle accuse della procura distrettuale antimafia di Firenze, venivano dispersi nell’ambiente dopo l’incenerimento senza la necessaria “depurazione”, o seppelliti in terreni di aziende agricole compiacenti, a Palaia e a Peccioli in provincia di Pisa o a Montaione, nel fiorentino. E anche due colossi lucchesi del settore sono adesso sotto la lente del Gico della guardia di finanza, che ha condotto la maxi inchiesta, con sviluppi anche in Veneto e in Campania, dove si ipotizza – ma è ancora tutto da dimostrare – siano stati tessuti legami da alcuni imprenditori del settore degli smaltimenti con aziende vicine al clan dei Casalesi e della cosca Belforte, radicata nel comune casertano di Marcianise.

Due colossi sotto la lente. Le fiamme gialle si sono presentate stamani (13 settembre) nella sede della Lucart di Porcari e delle cartiere Pieretti di Marlia. Il nome di queste due aziende figura al momento negli atti dell’inchiesta da cui sono scattate sei ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari e altri 8 provvedimenti restrittivi solo perché, per gli inquirenti, un’impresa di Pescia finita nel mirino per gli smaltimenti illeciti avrebbe acquistato il pulper dalle due cartiere. I titolari sono sotto indagine, ma al momento nessun capo d’accusa è stato ancora formulato nei loro confronti. Un atto dovuto e necessario, spiegano le fiamme gialle, per acquisire documentazione e campioni di pulper ai fini dell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Giulio Monferini, sotto la supervisione del procuratore capo Giuseppe Creazzo. Le accuse, pesanti -, che vanno a vario titolo dal traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni della Regione (per l’ecotassa non pagata) e falsità ideologica -, vengono invece mosse agli arrestati e all’impresa pesciatina che, acquistato il pulper, lo smaltiva senza ripulirlo: gli scarti venivano consegnanti ma da protocollo avrebbero dovuto essere depurati a carico dell’azienda prima dello smaltimento. Mentre invece, secondo la procura, venivano inceneriti senza essere privati degli agenti tossici e soprattutto con tassi di umidità superiori ai livelli previsti dalle procedure. Per questo poi le sostanze pericolose finivano libere nell’ambiente, dopo l’incenerimento nei termovalorizzatori o, peggio ancora, seppellite in terreni destinati alle coltivazioni di grano. E per almeno due anni, dal 2013 al 2014, come hanno finora ipotizzato gli inquirenti.
Gli arresti. Le manette sono scattate ai polsi di cinque imprenditori di società di smaltimento del pulper e di questi rifiuti speciali, tutti residenti in Lucchesia: ai domiciliari sono finiti Mariano e Martino Fornaciari, di 62 e 34 anni, entrambi di Porcari, e Felicino e Federico Del Carlo, 50 e 26 anni, il primo di Porcari, l’altro originario di Barga. Stessa misura per Alessandro Salutini, residente a Porcari ma originario di Pontedera, di 53 anni, e per un altro imprenditore della provincia di Padova, Gianni Pagnin, di 65. Interdetti dai pubblici uffici anche due imprenditori di 81 e 53 anni, residenti in provincia di Lucca, titolari o responsabili di ditte incaricate del settore cartario, finite nel mirino. Lo stesso provvedimento ha colpito anche altre 6 persone, residenti fuori dalla provincia.
Le indagini. I numeri dell’operazione che ha visto coinvolti 250 militari della guardia di finanza sono impressionanti. Due su tutti: nel corso delle indagini sono state sequestrate 80mila tonnellate di rifiuti “illegali”, insieme a 7 milioni di euro in beni riconducibili ai destinatari delle ordinanze emesse dal gip del tribunale di Firenze. L’inchiesta che è partita circa due anni fa ha scoperchiato un vaso di Pandora, che non è escluso possa avere ulteriori sviluppi. Perché, come è stato spiegato dagli investigatori, alcuni accertamenti sono ancora in corso e evolveranno dai sequestri e dalle acquisizioni svolte questa mattina in Lucchesia.
Il filone ‘lucchese’. Secondo l’accusa, alcuni scarti di lavorazione provenienti dal ciclo produttivo della carta che contenevano sostanze chimiche tossiche e molto nocive per la salute, come derivati della plastica, polistirolo, fanghi originati dalla de-inchiostrazione della carta, finivano smaltiti senza venire trattati. Al centro di tutto, per l’accusa, c’era l’impresa di Pescia che si sarebbe interposta tra le due importanti cartiere della Lucchesia – che potranno dimostrare comunque la loro estraneità ai fatti -, e vari impianti di smaltimento (discariche e inceneritori). L’azienda della provincia di Pistoia, per gli inquirenti, si arricchiva facendo figurare di aver proceduto alla “ripulitura” degli scarti industriali non trattandoli invece correttamente. Arrivando perfino in qualche caso – sospettano gli inquirenti – alla distruzione tramite l’incenerimento, con i conseguenti danni per l’ambiente che tutti possono immaginare. Secondo le fiamme gialle il giro avrebbe fruttato tra il 2013 e il 2014 oltre 2,2 milioni di euro per lo smaltimento di almeno 36mila tonnellate di rifiuti. A questo vanno aggiunti i circa 75.000 euro di risparmi ritenuti illeciti dovuti al mancato pagamento della ecotassa regionale.
Fanghi seppelliti nelle aziende agricole. Il secondo filone di indagine è stato focalizzato, invece, sull’attività di una società pisana che, riuscendo a praticare prezzi particolarmente competitivi, era divenuta leader nel trattamento dei prodotti reflui originati da diversi depuratori di fanghi industriali della Toscana. Gli inquirenti ipotizzano che l’azienda facesse così concorrenza sleale alle altre aziende del settore, e che, con la connivenza di proprietari agricoli e con tutta la documentazione giustificativa predisposta ad hoc, seppelliva nei loro appezzamenti di terreni, a Peccioli, Palaia e Montaione, fanghi altamente nocivi in quanto non trattati, percependo ingenti somme di denaro a titolo di “indennizzo” per la prestazione resa. A conclusione dell’indagine, le Fiamme Gialle hanno accertato che gli sversamenti su questi terreni sono stati almeno pari a 45.000 tonnellate, mentre i proventi illeciti sono di 2 milioni e mezzo di euro.
I video dello scempio ambientale. Agli atti anche sofisticate riprese video e riproduzioni fotografiche effettuate ad alta quota dal Gico da aeromobili ad ala fissa del comando aeronavale della Guardia di Finanza di stanza a Pratica di Mare che hanno documentato il progressivo deterioramento del territorio, boschivo e lacustre, dove nel tempo sono stati riversati fanghi nocivi.

 

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