Streghi e linchetti, paure toscane di ieri e oggi

Se per Tolkien – il celeberrimo autore del Signore degli anelli e creatore del mondo degli Hobbit, uno che di tradizioni popolari e di immaginario collettivo se ne intendeva – “la più grande ricchezza di un popolo sono le sue fiabe e le sue leggende”, allora, bisogna dire che gli abitanti della Toscana nord occidentale godono di un patrimonio davvero straordinario. Giosalpino, Linchetto, Marmaccia, Berlicche, Buffardello, Forforello, Calcavecchia, Caibbe, Busdraga, gli Streghi, il Serpente Volastro, Senzossi, Ossogamba, Nerin Nerone, Lupomannaro.

Questi sono solo alcuni dei nomi degli esseri spaventevoli e fiabeschi che hanno popolato per generazioni le fantasie dei versiliesi, degli apuani, dei garfagnini, dei lucchesi. Fantasie paurose, naturalmente. Perché “l’emozione più antica e più intensa del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è la paura dell’ignoto”, affermava Lovecraft, uno dei più geniali creatori del fantastico del secolo scorso, erede di Poe e padre di Stephen King. Sì, è dalla notte dei tempi che l’uomo avverte un’intensa soddisfazione ad avere paura, sente il piacere di provare paura. Ieri come oggi. C’è un filo tenacissimo, infatti, che lega gli orchi, le streghe, i lupi mannari, le cattive matrigne, i filtri magici, i boschi di notte e i suoi misteriosi abitatori e tutti i luoghi ricorrenti della oralità e della letteratura popolare, con il romanzo gotico, quello d’appendice, il giallo, la fantascienza, l’horror di tanti best sellers, di tanto cinema e fumetto, di tante leggende metropolitane. Insomma, attrazione e repulsione per la paura sono gli stati d’animo contrapposti e complementari che da secoli, da millenni, da quando esiste l’umanissimo piacere del raccontare si mescolano deliziosamente nell’animo di chi ascolta, legge, guarda. Narrazioni che nate nella notte di tempi e nel mondo agricolo, hanno saputo rigenerarsi e sviluppare una straordinaria capacità di penetrazione in ambiente urbano. La città nata per rendere l’uomo più libero e respingere fuori i nemici e le malattie, le servitù e le memorie degli antichi demoni, ha ribaltato nel tempo la sua ispirazione originale e ne ha capovolto i significati “sino ad assumere il volto di un incubo all’interno del quale figure mitiche profonde si presentano con forme nuove e arcaici significati… Ai giorni nostri la storia non cambia. Le città… raccontano leggende oscure, perfetti plot oltre l’horror e sconfinanti nel modernissimo splatterpunk, ma al contempo reminiscenze gotiche dei secoli scorsi, che si intrecciano con il ritmo subliminale dei videoclip e le discipline multimediali: topi giganteschi, pantere nere, baby-sitter assassine, avvelenatori di frutta, propagatrici di Aids, culti satanici, sacrifici umani, cannibali urbani, case infestate e autostoppisti fantasma” (Arona).
Tornano sotto altre forme le fiabe, i miti, le leggende del passato remoto e di quello prossimo. Interroghiamoci se anche oggi il bisogno di irrazionale, di magia, di fantasia sia più prepotente che mai. E allora diamogli soddisfazione. In maniera larga, piena, consapevole e senza preclusioni. Evitando, insomma, di rifugiarci solo nella laudatio temporis acti di un’epoca pura e incontaminata, per altro mai esistita, in cui erano più belle anche le fole della nonna. E diamo ascolto allo storico e antropologo Cesare Bermani, un’autorità in materia, quando ci dice che le leggende contemporanee per quanto radicate nel passato, non sono soltanto adattamenti dell’arcaico al moderno, ma sono sempre anche prodotti della società che è loro contemporanea. “Veicoli di angosce, desideri, impulsi, e fobie, spesso frammischiate al reale in modo quasi inestricabile, condizionandone quindi attivamente il divenire storico. Di qui appunto la loro importanza per la riflessione storica in generale e per la storia della mentalità in particolare”.

Luciano Luciani

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