Badia Pozzeveri, nuovo ostello per pellegrini Francigena

Un nuovo ostello per i pellegrini della Francigena. Inaugurerà il 7 settembre l’Hostal Badia, gestita dall’associazione no profit Iniziativa turistica, che si è aggiudicata la manifestazione d’interesse indetta dall’amministrazione D’Ambrosio. La strutturà nascerà a Badia Pozzeveri, nell’immobile adiacente all’antica abbazia, all’interno di uno dei siti archeologici più interessanti e importanti d’Italia.

“Badia Pozzeveri costituisce la prima fieldschool internazionale sorta in Italia per la didattica dello scavo antropologico di sepolture – commentano il sindaco Sara D’Ambrosio e l’assessore alla cultura e al turismo Martina Cagliari – Rappresenta quindi un patrimonio unico, sia per le tecnologie utilizzate, molto innovative, sia per la peculiarità dello scavo stesso, che si concentra soprattutto sui resti umani per ricavare informazioni fondamentali per la ricostruzione dello stile di vita della popolazione medievale toscana. La nostra volontà è di valorizzare quest’area in modo permanente: cominceremo il prossimo 7 settembre con l’inaugurazione della nuova Foresteria della Francigena, che sorgerà proprio qui a Badia Pozzeveri e che diventerà a tutti gli effetti un luogo di aggregazione, di sosta e di promozione turistica, storica e culturale”. Già da due anni l’area degli scavi è inserita nel programma del Luglio altopascese, con le visite guidate e gli spettacoli dentro le rovine. “Questo è solo l’inizio – proseguono – Vorremmo creare un museo con i resti emersi in questi nove anni, far conoscere, anche grazie a pannelli informativi, l’importanza di questo sito, e poi riuscire a ottenere i fondi necessari per restaurare e riaprire l’antica Abbazia. Quest’ultimo passo sarebbe il completamento del percorso di rinascita di questa zona che stiamo portando avanti: non è semplice, perché servono molte risorse, ma ci stiamo lavorando”. Dal 2011, archeologi italiani e americani lavorano insieme da un’estate all’altra, grazie allo scavo, svolto su concessione ministeriale, organizzato dal Comune di Altopascio e dalla divisione di paleopatologia dell’Università di Pisa sotto la direzione scientifica di Antonio Fornaciari.

L’area archeologica è sede di due iniziative didattiche: il master di primo livello in antropologia scheletrica, forense e paleopatologia, promosso dalle Università di Bologna, Milano e Pisa, che prevede la permanenza sul sito di scavo per due settimane di quindici studenti italiani, e la Fieldschool Pozzeveri in medieval archaeology and bioarchaeology, gestita dall’Università di Pisa e da Irlab di Columbus in Ohio, che richiama ogni anno una quarantina di studenti statunitensi, canadesi e di altri stati europei ed extraeuropei interessati ad apprendere le tecniche di scavo archeologico e di studio dei resti umani antichi.
Tra gli ultimi ritrovamenti ci sono i resti della battaglia di Altopascio del 1325, una piccola spada costituita da un blocco unico di metallo, una specie di pugnale chiamato baselardo, caratteristica dell’armamento medievale del XIV secolo. Grazie alle scoperte fatte all’interno dello scavo bioarcheologico di Badia Pozzeveri, tra i più importanti d’Europa, è possibile ricostruire gli avvenimenti storici a cavallo di più secoli e tracciare l’identikit sociale e culturale delle popolazioni che sono transitate da quelle zone. Secondo i ricercatori, il baselardo ritrovato nelle scorse settimane potrebbe rappresentare proprio una delle tracce più tangibili della battaglia che vide protagonista la Badia di Pozzeveri, l’antico monastero costruito intorno al Mille vicino al centro di Altopascio e tappa importante della via Francigena. Un monastero che dopo un periodo di grande sviluppo grazie ai frati camaldolesi, nel settembre del 1325 viene occupato dagli accampamenti dell’esercito guelfo fiorentino guidato da Raimondo di Cardona. Qui si svolgeranno le operazioni militari della celebre battaglia di Altopascio, che vide il trionfo delle truppe lucchesi ghibelline di Castruccio Castracani. Nella stessa area in cui è stata ritrovata l’arma sono emersi anche una fornace per la gettata di una campana e un piccolo laboratorio dedicato all’attività metallurgica. E ancora i resti di ceramiche di importazione, provenienti dal nord Africa, testimoni di un’attività commerciale molto vivace e continuativa, che ancora una volta trovava il suo fulcro proprio nell’antica Abbazia, strategica per vitalità economica grazie al passaggio della Via Francigena e alla vicinanza con il lago di Bientina, naturale collegamento con il fiume Arno e quindi con Pisa e Firenze. Il tutto arricchito dagli ultimi rinvenimenti di antiche sepolture, che nei nove anni di scavo hanno delineato una stratificazione cimiteriale importantissima e perfettamente conservata, trasformando di fatto l’area archeologica di Badia Pozzeveri in una delle necropoli più interessanti d’Europa, capace di svelare usi, costumi, malattie e stato sociale dalla metà dell’800 e a ritroso fino a prima dell’anno Mille. Il sito archeologico ha rivelato negli anni una storia molto complessa. Alle tracce di un villaggio altomedievale si succedono nell’XI secolo i resti di un complesso religioso incentrato su una canonica che si trasforma agli inizi del 1100 in una grande abbazia camaldolese. Gli scavi nelle ultime due campagne si sono soffermati proprio sui livelli più antichi della canonica e dell’abbazia e in particolare sulle sepolture legate a queste due importanti istituzioni. Negli anni precedenti invece sono stati portati alla luce parti cospicue della chiesa di XI secolo che precedette il monastero, del chiostro dell’abbazia e di un grande ambiente adibito a foresteria. La frequentazione del sito continuò in età moderna, quando dopo la soppressione dell’abbazia la chiesa venne ridotta a un semplice edificio parrocchiale, a cui comunque si accompagnarono nei secoli notevoli fasi cimiteriali fino alla metà dell’800. “Grazie alla continuità dell’uso cimiteriale dell’area circostante la chiesa di San Pietro – spiega il dottor Fornaciari -, è stato possibile acquisire un campione scheletrico notevolissimo, che senza soluzione di continuità spazia dall’XI al XIX secolo, un caso più unico che raro a livello europeo. I reperti umani rinvenuti costituiscono infatti un vero e proprio archivio biologico che è possibile interrogare applicando i moderni metodi bioarcheologici e biomedici. Abbiamo ritrovato tombe di livello sociale diverso, in semplici fosse e in muratura di pietra, che in molti casi rivelano anche l’ottimo livello di alimentazione, confermato dal fatto che gli individui erano mediamente di alta statura”.
Tra gli studi d’avanguardia che hanno coinvolto gli individui provenienti dallo scavo di Badia Pozzeveri acquistano particolare importanza due progetti internazionali: il primo riguarda lo studio del patrimonio genetico orale di un campione di individui datati dall’XI al XX secolo, ricostruito partendo da frammenti di tartaro dentario. Ciò ha permesso di riconoscere e tipizzare i batteri ospitati nel cavo orale della popolazione medievale e postmedievale, giungendo a risultati innovativi che mostrano, tra l’altro, una presenza di numerosi batteri ma anche di alcuni ceppi rari che in genere si associano a fenomeni di immunodepressione e alla presenza di malattie respiratorie. In un monaco camaldolese sepolto nel chiostro abbaziale è stato identificato un batterio che in genere si rinviene in bevande fermentate, come il vino, e che non è stato invece rinvenuto nel patrimonio genetico dei laici. Un’altra ricerca d’avanguardia è stata svolta in collaborazione con l’Università danese di Aarhus: dalle analisi sul campione medievale è risultato che gli abitanti della zona avevano un’ottima alimentazione, con un notevolissimo apporto proteico. Segno che la carne era molto presente sulla loro tavola. Si tratta pertanto di individui appartenenti a classi sociali benestanti ed elevate, probabilmente ricchi benefattori del cenobio, che avevano ricevuto il privilegio di essere sepolti nel cimitero della grande chiesa. “Stiamo inoltre lavorando sugli scheletri per individuare anche altre eventuali malattie – continua Fornaciari -. Ci aspettiamo di trovare casi di tubercolosi, che sappiamo essere stati frequenti tra il XIII e il XIV secolo: attraverso l’ambiente orale e le ossa si può capire come si siano sviluppate le malattie e ricostruire l’andamento delle stesse”.

 

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