Videogiochi, istruzioni per l’uso (e contro l’abuso)

Oggi (1 novembre), alle 12,30, a Lucca Comics and Games, nella sala incontri The Bit district, si è tenuta la conferenza Dipendenza da videogioco, mediata da Paolo Cupola, giornalista della Gazzetta dello sport. Relatori: Viola Nicolucci, psicologa e psicoterapeuta e Ivan Mosca, ricercatore delle game studies, discipile che approfondiscono la questione sul gioco.

In seguito a varie sollecitazioni da parte di insegnanti e genitori, l’organizzazione mondiale della sanità ha proposto di inserire il gaming addiction disorder all’interno dell’Icd-11, sistema internazionale di classificazione dei disturbi.
“In assenza di dati scientifici precisi che possano definire il gaming un vero disturbo e in assenza anche dell’elenco dei sintomi e delle possibili terapie, ritengo che questa proposta sia precitosa in quanto- afferma la dottoressa Nicolucci – rischia di diffondere un moral panic nell’opinione pubblica. Inoltre la ricerca scientifica identifica, come causa di queste dipendenze, i disagi interni dovuti al malsano rapporto con la società, sopratutto in età adolescienziale, all mancanza di autonomia e alla solitudine. A questo proposito, la soluzione non è quella di togliere il gioco perché, così facendo, il problema si riproporrà in altri ambiti aggravando, talvolta, anche le possibili conseguenze”.
Il videogioco produce anche effeti positivi, soprattuto in termini di comunicazione: “I genitori potrebbero, ad esempio, sedersi sul divano accanto al figlio per guidarlo nella sua esperienza di gamer. Per questo c’è bisogno – continua Viola Nicolucci – di una maggiore conoscienza della disciplina del gioco e ci stiamo impegnando affiché la psicologia collabori il più possibile con i vari designer”.
“Il videogioco ha un doppio impatto – ha detto Ivan Mosca – . Come un coltello può essere usato sia per tagliare il pane che per assassinare qualcuno, anche il game presenta due risvolti: uno negativo e uno positivo. Ci categorie di gioco più rischiose che tendono a far allungare il tempo di permanenza davanti allo schermo come quelli che creano scommesse o quelli d’azzardo. L’utente è passivo e costretto a tenere l’attenzione sempre fissa. Sono modalità di gioco per cui il giocatore non ha le stesse informazioni del programmatore e dunque si lascia convincere”.
“Il meccanismo di convinzione di queste categorie più rischiose si riproduce in quattro fasi: – continua il ricercatore Mosca proiettando sullo schermo un piccolo schema – hook (aggancio), trigger (azione), reward (insonorizzazione) e engagement (investimento). Una volta avuta la percezione, tramite l’engagement, che il tempo di gioco sia stato ben investito, si continuerà a giocare ripartendo dall’hook. È necessario quindi differenziare e scegliere quei giochi che favoriscono l’apprendimento e una crescita personale”.
“Se mai sarà realmente dimostrato a livello scientifico che esiste un’addiction nel gaming, queste riguarderebbe solo i giochi più inutili e previ di significato. A questo proposito, – concludono i due relatori – la soluzione non è smettere di giocare ma costruire e mantenere un pensiero critico in ambito di scelte”.

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