L’azzurro, Mancini e un’estate senza mondiali

Non ci saranno i mondiali a smorzare la polemica politica. Nessuna sospensione del giudizio in attesa del prossimo ricorso alle urne. Nessun maxischermo in giardino, birra ghiacciata, gazzose e moschicidi, clacson di notte e bagni nella fontana.
Accontentiamoci, però. Che il pallone, come in tutti gli anni pari, qualcosa ci farà commentare. Che siano le nazionali degli altri o il calciomercato nei bar, fra una battuta e un’altra su Mattarella, Di Maio e Salvini qualche offesa ce la concederemo parlando anche dell’italico pallone.

Stasera, per esempio, dopo un periodo di lutto infinito per esorcizzare la mancata qualificazione a Russia 2018, dopo il doppio sciagurato confronto con la Svezia, è ritornata in campo la nazionale italiana. Dimenticata in fretta la parentesi Di Biagio, buona solo per le statistiche, è arrivato l’esordio di Roberto Mancini, uno che con l’azzurro non ha avuto un rapporto proprio idilliaco: 36 partite con l’Italia, quattro gol, titolare solo agli europei del 1988 con Azeglio Vicini.
Il riscatto potrebbe passare dalla panchina e la voglia c’è tutta. E già l’inedito trittico di amichevoli consecutive, organizzato dopo un digiuno troppo lungo, fa sperare in una diversa considerazione della rappresentativa nazionale.
Le impressioni dell’esordio? Di fronte c’è l’Arabia Saudita, che al mondiale ci va ed ha quindi un diverso livello di preparazione e la ‘testa’ più pesante (sarà sotto i riflettori per la prima contro i padroni di casa della Russa il 14 giugno). Poca roba, quindi. E basta trotterellare, giocare un po’ di prima, mantenere le consegne e le distanze per fare bella figura. Ma è già il tempo di commentare e di sognare. E gli elementi ci sono tutti. Torna Balotelli, dopo quattro anni, e ci si ritorna a chiedere se ha messo la testa a posto oppure no. Ma intanto quel movimento di corpo a mettere a sedere gli avversari e il destro chirurgico a fil di palo strappa applausi, un sorriso e un pensiero: cosa sarebbe successo se Ventura, anche in extremis, lo avesse ripescato nel giro della nazionale?
Il calcio non si fa con le chiacchiere ed è inutile fare paragoni. Intanto funziona l’asse a sinistra fra Criscito e Insigne, cuore tutto napoletano come il numero uno del post Buffon, Gigio Donnarumma. E poi c’è un motore tutto laziale che informa tre quarti della difesa (Zappacosta, Bonucci e Romagnoli), conquista il centrocampo (Florenzi e Pellegrini) e si ritrova anche in attacco con Politano. Un undici che si completa con Jorginho, uno che verticalizza palloni anche quando è in fila al supermercato.
Tutto rose e fiori? Manco a dirlo. L’Italia prima va vicina al raddoppio con una traversa di Criscito, poi segna il secondo gol con il ‘gallo’ Belotti, quindi ritorna ai limiti di sempre. Zappacosta si addormenta su un pallone e permette ai verdi di Pizzi (ve lo ricordate l’attaccante ispano-argentino, ‘Pichichi’ della Liga con il Tenerife prima del passaggio al Barcellona?) di accorciare le distanze e infine rischia di farsi agguantare. Poco importa: la voglia, le motivazioni, l’impegno son quelli che sono.
Mancini, i giocatori, lo staff intero questi mondiali li guarderanno soltanto alla tv. Non succedeva dal 1958 e allora la colpa era stata della nebbia, dell’agonismo nordirlandese e, si disse, dei troppi oriundi. Due di questi erano Ghiggia e Schiaffino, campioni del mondo nel 1950 con l’Uruguay: un po’ come se, mutatis mutandis, Messi e Di Maria cambiassero casacca e questo non bastasse.
L’1 giugno un’altra amichevole. Di fronte, a Nizza, ci sarà la Francia, una delle favorite a Russia 2018. Il bilancio è, ancora, favorevole agli azzurri nostrani: su 38 partite 18 vittorie, 10 pareggi e 10 sconfitte. L’ultima sfida è stata un ko al San Nicola di Bari: era l’1 settembre 2016 e in panchina esordiva Giampiero Ventura. Un dato che ci permette ancora una curiosità: l’ultimo ct ad esordire con una vittoria, come Mancini, era stato Antonio Conte. L’ultimo che ci ha fatto almeno un po’ sognare.

Enrico Pace

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