Le rubriche di Lucca in Diretta - In Auto

Da Fiat ad Audi: Terigi tra boom economico, contestazioni sindacali e nuove sfide foto

Una targa bianca, con su scritta un’indicazione precisa: Terigi commissionaria Fiat. Oggi è un pezzo di modernariato: non a caso è stata comprata – anzi, ricomprata – qualche anno fa dai nipoti di Aldo Terigi, l’uomo che fece sognare l’Italia a bordo di una Stanguellini durante la Mille Miglia del 1948. Lo stesso che, riposta in un cassetto la passione per la velocità, ha saputo costruire a Lucca l’azienda che ancora oggi porta il suo nome, in via delle Fornacette.

Era il 1957 e viale Europa non era stato ancora costruito. Difficile, per chi non era ancora nato in quegli anni, immaginare quel brano di città senza l’arteria che oggi permette di raggiungere l’autostrada e la via per Pisa bypassando la cesura della ferrovia. “C’era viale San Concordio e, intorno, erano per lo più campi e strade sterrate. Mio padre – ricorda Giampaolo Terigi, oggi prossimo agli 87 anni – accettò la commissione Fiat ma dovette industiarsi per comprare dei locali idonei alle caretteristiche che si richiedevano da Torino”.

Sì, perché nel pieno del boom economico, la Fiat puntava a edificare quelle che in gergo furono definite ‘cattedrali’: ampi spazi, dove esporre le auto in vendita, offrire assistenza meccanica alla clientela e disporre di un magazzino ricambi. Volumetrie importanti che portarono Aldo Terigi a rilevare la vecchia litografia della famiglia Asciutti per conferirgli una nuova identità: un intervento di recupero ante litteram, in tempi di piena febbre edilizia. “A Lucca – racconta Giampaolo – tre realtà ricevettero il mandato di commissione dalla Fiat: Frediani & Lencioni, che avevano un grande immobile dove oggi c’è l’Esselunga di viale Carlo Del Prete, Lunatici a Barga, e mio padre. Erano anni dinamici, tutta l’Italia era in ripresa: per ottenere un finanziamento in banca non occorrevano grandi garanzie. I direttori guardavano negli occhi le persone e decidevano se concedergli fiducia o meno: è stato così che mio padre ha potuto iniziare i lavori di allestimento all’ex litografia”.

Un’impresa che venne completata a distanza di sei anni dall’inizio, quando a malincuore Aldo Terigi si trovò a dover demolire anche la parte posteriore dell’edificio – elegante e calda, con le sue capriate in legno. “I primi anni tutto andò a gonfie vele: vendevamo molte auto, la richiesta del mercato era alta. E davamo lavoro a tante persone. Qua dentro ci sentivamo una grande famiglia. Ancora oggi è così: conosco tutti per nome – dice Giampaolo – e di ogni dipendente conosco la storia, le aspettative, le difficoltà. È stato mio padre a insegnarmi che le persone, anche nei luoghi di lavoro, vengono prima di tutto. Certo il ’68 e il fervore sindacale degli anni Settanta si sono fatti sentire. In fondo, noi eravamo pur sempre i ‘padroni’. Ricordo il dispiacere negli occhi di mio padre nel sentire urlare contro di noi durante le assemblee in officina: quella era casa nostra, e non potevamo entrare. Dovevamo rimanere fuori, senza poter dare spiegazioni, senza poter ribattere. Quello che posso dire ancora oggi – continua Giampaolo – è che la nostra azienda ha messo in campo ogni risorsa per garantire i propri lavoratori”.

Anche quando la Fiat modificò il rapporto con i punti vendita del territorio, passando dalla commissione alla concessione.
“La commissione, a differenza della concessione, consentiva una certa sicurezza: quel tipo di mandato – spiega Giampaolo – faceva sì che da Torino ci arrivassero auto in conto vendita, che noi dovevamo pagare soltanto dopo il reale acquisto da parte del cliente. La concessione invece, sebbene misurata sull’analisi delle vendite precedenti, finì col creare qualche problema: a quel punto eravamo noi a dover acquistare dalla Fiat un determinato numero di auto ogni mese, indipendentemente dalla richiesta reale sul territorio. Un tipo di politica aziendale – continua Giampaolo – che non teneva conto della cresciuta offerta della concorrenza né del fatto che le persone erano diventate sempre più esigenti: l’auto era sentita sempre più come espressione della propria personalità e dettagli come il colore della carrozzeria o un accessorio in più facevano la differenza. Non sempre però le auto che la casa madre inviava alla concessionarie soddisfacevano i requisiti voluti: va da sé che generare invenduto divenne molto facile”.

A portare avanti l’azienda, in quegli anni, erano Giampaolo e suo fratello Roberto. Piano piano il rapporto con la Fiat si incrinò, fino a deteriorarsi del tutto sul finire degli anni ’90. “Volevamo smettere, riprendere a fare i commercianti di auto usate, come aveva fatto nostro padre dopo la guerra. E invece siamo ancora qua”, sorride Giampaolo. “In quel momento di crisi, presi in mano la situazione e decisi di affidarmi alla serietà di un marchio tedesco che iniziava in quegli anni a imporsi all’attenzione del mercato italiano: Audi. E così siamo rinati, ancora una volta. In fondo, è quello che fanno sempre i Terigi, ce l’abbiamo nel sangue: dalle difficoltà troviamo il modo per uscire più forti di prima. E siamo tornati anche ad assumere personale: oggi abbiamo più di trenta dipendenti”.

E così dal gennaio del 2001 il nome della famiglia Terigi è legato a un nuovo marchio, che ha rinnovato gli interni della concessionaria soppalcando il salone espositivo per ricavarne alcuni uffici. Ed è lì che ancora oggi Giampaolo ha la sua scrivania. Lungo le pareti, molte fotografie raccontano una storia lunga più di 70 anni. Trattengono dettagli di una Lucca che non c’è più e che, tuttavia, sopravvive nello sguardo di Giampaolo: “Sento che mi fa bene raccontare la storia di questa azienda: è una sorta di regalo che idealmente faccio a mio padre”. Già, perché Aldo Terigi non ha mai smesso di interessarsi alla realtà che ha fatto nascere: “Ogni mercoledì – ricorda ancora Giampaolo – io e mio fratello, ormai al timone dell’azienda, andavamo a trovare mio padre, che nel frattempo si era trasferito a Viareggio con nostra madre. Andavamo a pranzo al ristorante, solo noi quattro, senza nipoti, senza mogli. Una tradizione tutta nostra. E spesso finivamo per parlare di lavoro. Mia madre un po’ si innervosiva, diceva che dovevamo separare, staccare per qualche ora. Ma non c’è separazione davvero possibile quando un’azienda significa volti, vite, affetti, scommesse. Abbiamo investito prima di tutto noi stessi in questo progetto: e se ancora oggi le persone si ricordano di mio padre, delle opportunità ricevute da lui, vuol dire che ne è valsa la pena”.

To be continued…

Elisa Tambellini

Sostieni l’informazione gratuita con una donazione

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di Lucca in Diretta, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.