Parigi in 20 anni d’altri tempi. Per gli auguri da viaggiatore a viaggiatori (Prima parte) foto

Un altro excursus fra viaggi, ricordi ed enogastronomia con il Funa

No selfies, no foodies, yes memories…

Tutti viaggiamo: nella nostra vita. Chi a piedi, chi in treno, aereo, limousine, qualcuno si fa dare un passaggio. Lunghi pezzi diritti che si dimenticano, saliscendi che sembrano non aver fine, agli incroci si guarda cosa fanno gli altri.

Quasi mai cosa facciamo noi. Ma spesso incrociamo proprio noi stessi, stessi momenti di altri momenti, qualcosa che si ripete ma con qualcosa di cambiato: la luce, i tempi, l’affanno, l’attenzione, i capelli, eppure noi ci siamo. Ti ricordi?

A forza di guardare cosa fanno gli altri si sottostima il grande film che stiamo girando di sicuro da protagonisti. Ora più che mai, rapiti e rimbambiti da schermi che ci schermano.

Cosa di più nostro dei ricordi? Un propellente più che semplice nostalgia.

L’unica paura che ho è di smettere di viaggiare, qualsiasi viaggio. E l’unica cosa che può trattenerti dal viaggiare è la paura. Ricordate quella del dopo-Bataclan a Parigi? Che fare? Beh, facciamo un giretto proprio lì, poi vi dico.

1976 estate

È quella grande estate del ’76, la fine del liceo e il primo balzo dovunque, interrail a gogò, un sacco di prime volte a raffica. Io e Nanni arriviamo a Parigi di notte, da Biarritz e poi dai Castelli della Loira, e prima ancora dalla Spagna, proiettati su Olanda, Grecia, Jugoslavia.

Prima notte a Parigi: non so chi di noi due fosse Lucignolo, ma sicuro quella era la città dei balocchi. Sono le 2 del mattino e sembra tutto aperto, le luci, le persone, c’è musica, traffico, si può mangiare e bere, nessuno sembra accorgersi che nel mondo dei provincialotti a quell’ora si può solo dormire. Il sonno dei giusti.

I giusti certe volte mi sa si sbagliano e si dovrebbero svegliare un po’… Entriamo nella giostra più vicina. Abbiamo fame (forse, boh…? Come si fa a non averne…) e ci facciamo il nostro primo hamburger (per me fortunatamente anche uno degli ultimi) in uno dei primi fast food europei: Wimpy (Il signor Wimpy di Popeye, Braccio di Ferro, tradotto in italiano con Poldo, appassionato mangiatore di panini).

Cameriere vestite sgargianti, tavolino con jukebox personale, cibi e patatine come nei film. Usciamo elettrizzati. Nella Avenue grandissima (altro che via Fillungo…) si cammina come dentro un kolossal e… stridore di gomme… splashpaf… dei mattacchioni centrano la mia schiena con un sacchetto di uova lanciato da una macchina.

Funa il viaggiatore romantico 1 gennaio rubrica

La prima notte a Parigi della mia vita passa lavando la mia camicia militare usata del mercatino di Livorno in una fontana e stendendola sul mio zaino arancione con armatura in alluminio, parlando guardando le stelle e aspettando l’alba sulla panchina davanti alla fontana, davanti alla chiesa che, giustamente, dorme.

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Non è da meno l’ultima di quella delle prime notti parigine d’agosto: siamo a dormire lungo la Senna con due nostre amiche che hanno appena respinto alcuni pretendenti clochard, più ubriachi che focosi, e loro si lamenteranno per la sorte (anche amorosa) avversa lanciandoci delle bottiglie dalle spallette sopra di noi appisolati, chi in sacco a pelo chi con solo il kway. La prima volta che ho”sentito” una bottiglia di vino francese non mi è piaciuta. E poi, non erano “stelle” quelle cadenti ad agosto?

1978 Agosto

Agilissimo come un gatto scendo da un grande carrello di coperte per cuccette, dove ho passato la notte, in un magazzino della gare de Lyon. Due custodi sobbalzano e io sgattaiolo via dicendo Bonjour.

Sono arrivato a Parigi in autostop dopo 36 giorni in Scandinavia, da Capo Nord, mi sento carico di avventura come un libro di Salgari. Voglio essere puntuale all’appuntamento con chi si fida di arrivare a Parigi da Lucca, prima volta da sola fuori casa, contando di trovarmi lì. Eccomi!

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Non oso (ancora) farla dormire in sacco a pelo e allora vai con hotel a una stella nel Marais, lusso moooolto relativo, lampadari sofferenti che pendono storti, buchi nelle lenzuola, materassi in memory foam ma nel senso che la loro gommapiuma potrebbe scrivere un libro di memorie…;))) 
Ho indirizzi di ristorantini greci, algerini e tunisini in Rue de la Harpe e Rue de la Huchette. Faccio un figurone, anche se in qualche posto i camerieri sparecchiando la tavola arraffano e mangiano gli avanzi. Pur a ridosso di Notre Dame, non c’è gran turismo ancora, e la mattina il selciato è disseminato di ubriachi e clochard con l’acqua che scorre a pulire i bordi dei marciapiedi e, un pochino, anche loro.

Primi assaggi di cous cous e paste con miele fritto da tutto il nordafrica. I ristoranti greci che costano di più spaccano i piatti per richiamare i turisti, noi troviamo il nostro più “silenzioso”, piccolino (per 2 cuori basta una capanna, vero?), due scalini a ulteriore separazione dal mondo e si presenta il proprietario, il cuoco, la moussaka, il tatziki, la feta, i dolmades, beviamo l’indecifrabile retsina.

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La mattina non ci manca mai il croissant e un cafè au lait comme il faut. A passeggio talvolta ci deliziamo con un flan alla crema, molto oltre qualsiasi budino, anche per il fatto che lo stai mangiando passeggiando per Parigi. Pranzo a uno di quei tavolini microscopici che solo a Parigi vengono usati per dar da mangiare a 2 persone: facilmente ci si innamora… per contatto.

Merenda forse con pan bagnat? O l’onnipresente baguette avec jambon et fromage? 36 giorni di rød pølse, pochissimi smørgåsbord, kalakukko e tante, tante sardine per risparmiare meritavano davvero!

E poi sempre in giro in quell’universo raccolto in una sola città, fino al tuffo nell’Africa nera: da una porticina entriamo in un quartiere–tempo-altrove. La Goutte d’Or è Africa pura. Tutto per gente come minimo abbronzata (politicamente parlando) se non nera come la pece (si dice così… anche se non ho visto mai la pece, ma mi fido): dai bordelli con richiamo in strada, agli alimentari locali ai parrucchieri che ti fanno il taglio di moda a Bamako. Colori e profumi narcotizzanti. Io e Monica siamo gli unici bianchi e in più con occhi azzurri. Nessun problema, solo non so chi guardava più stupito chi.

E via di nuovo dappertutto a piedi e in metropolitana, viaggio nel viaggio, quelle mattonelle bianche e greche blu, quel rumore lontano-vicino atavico come un tamburo, e quel vento dal vuoto che sposta l’odore dolciastro con retrogusto di gomma bruciata: eau de metrò.

Continua…

Funa il viaggiatore romantico

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