Rossi a Bruxelles: “L’Europa deve interessarsi ai disoccupati”

Si contano dieci milioni di disoccupati di lungo termine in tutta Europa, il 48,8 per cento di chi cerca un posto di lavoro. “Numeri pari a quelli di uno Stato che non ha rappresentanza: un vero e proprio scandalo – sottolinea il presidente della Toscana, Enrico Rossi – che deve spronarci ad affrontare il problema a livello europeo”. Almeno per quella fetta di disoccupazione che non è strutturale e fisiologica, “anche se – confessa il presidente – personalmente avrei preferito parlare di piena occupazione. Intanto però iniziamo da qui”.
A Bruxelles il presidente della Toscana Enrico Rossi è stato ascoltato oggi pomeriggio (19 aprile) dalla commissione affari sociali del Parlamento europeo, come relatore del parere del comitato delle Regioni che in Europa è la voce degli enti locali. Si parlava dell’inserimento dei disoccupati di lunga durata nel mercato del lavoro e la proposta del comitato (e di Rossi), approvata a febbraio, è chiara, come l’orizzonte verso cui tendere: un meccanismo di solidarietà e assicurazione europea che venga incontro ai paesi che più hanno sofferto la crisi e contano più disoccupati di lungo periodo, con l’obiettivo di far rientrare nel mercato chi un’occupazione non ce l’ha più da oltre un anno, con una forma universale di sostegno al reddito da erogare ai lavoratori in cambio delle disponibilità a impiegarsi in lavori socialmente utili.

“Vogliamo che ne discuta – dice – nell’ambito della prossima revisione dei fondi strutturali 2014-2020”. “Le risorse necessarie – chiarisce Rossi nella replica – si potrebbero trovare in due modi: introducendo la Tobin Tax (la tassa sulle transizione e speculazioni finanziarie proposta dal Nobel per l’economia nel lontano 1972, ritornata al centro del dibattito internazionale negli ultimi anni ndr), oppure concedendo maggiore flessibilità nella spesa a quelle nazioni, o meglio a quelle Regioni, che hanno livelli di disoccupazione più alti”. “Si parla tanto in queste settimane dei capitali fuggiti all’estero e frutto di evasione e elusione – risponde dopo l’intervento ai giornalisti -: 7500 miliardi, il Pil di Gran Bretagna e Germania assieme. Che si colpisca lì e si crei lavoro per i giovani e chi non ce l’ha”.

L’Europa è un grande puzzle di vasi comunicanti
Rossi non condivide la posizione eccessivamente prudente espressa a gennaio dal Consiglio europeo, ovvero i capi di Stato e di governo, che hanno un po’ annacquato la proposta delle Regioni. Lo dice subito, anche se lo ritiene comunque “un passo in avanti apprezzabile, perché dimostra sensibilità al problema della disoccupazione”. La critica è presto chiarita: “si mantiene a carico dei singoli Stati i centri per l’impiego, in particolare quelli pubblici, e non si tiene conto che crisi e disoccupazione possono avere effetti sulla performance economica dell’intera Unione aggravandone gli squilibri macro economici”. Usa due metafore : l’Europa come un grande puzzle e un insieme di vasi comunicanti. “Questa interpretazione restrittiva del concetto di solidarietà rischia di indebolire il ruolo già debole dell’Unione – dice – Invece il riconoscimento comune di una coscienza europea che nasca dalla difesa dei soggetti più deboli che non devono più sentirsi discriminati aiuterebbe ad accrescere la credibilità dell’Europa”.

La proposta per punti
La proposta del Comitato delle Regioni si articola in quattro punti: standard identici per tutti i centri dell’impiego dei paesi Ue, fondi per garantire ai paesi più deboli di raggiungere questi standard, politiche comunitarie per il sostegno e il reinserimento dei disoccupati e fondi per far questo, distinguendo tra la disoccupazione fisiologica dovuta a cause contingenti, che dovranno affrontare i singoli Stati, e picchi straordinari, legati invece a congiunture internazionali e per cui deve diventare affare dell’Unione europea. “Non sarà facile – conclude Rossi – costruire un mercato del lavoro unico europeo che funzioni, ma occorre provarci”. Lo si può fare ripartendo dall’esperienza di Garanzia Giovani e “con un rapporto stretto tra chi offre domanda di lavoro e chi forma”. “Il nodo della formazione – annota – è assolutamente decisivo e il capitale umano, ben formato, può essere davvero motore di sviluppo per un paese”.

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