Omicidio Vannucchi, associazione Luna sarà parte civile

“Non basta insegnare alle donne a difendersi: impediamo agli uomini di ammazzare”: questo lo slogan riproposto oggi (5 agosto) dall’associazione Luna Onlus, a due giorni dall’efferato omicidio di Vania Vannucchi. Accorciare i tempi della giustizia, garantire la certezza della pena, fare in modo che le istituzioni si assumano la loro responsabilità mediante finanziamenti costanti, consentire una formazione continua, su tutti i livelli. Le richieste sono state presentate dalla presidente Daniela Caselli, affiancata da Giuseppe Fanucchi (sportello uomini maltrattanti) e dalla dottoressa Piera Banti (medico del pronto soccorso di Lucca e coordinatrice del Codice Rosa lucchese). Che annuncia anche come lAssociazione Luna, attiva sul territorio dal 1999, si costituirà parte civile nell’omicidio Vannucchi: “Cambieremo lo statuto se necessario – commentano – abbiamo già sentito il notaio”.

E’ la dottoressa Banti a rivelare che non soltanto conosceva benissimo vittima e carnefice, ma che ha anche refertato i danni da ustione a Vania Vannucchi, il giorno del delitto. “Sono stata in silenzio per due giorni, presa dallo sconforto – confessa – perché non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui Vania non ci abbia mai chiesto aiuto. Forse si è trattato del senso di vergogna per una relazione segreta, di cui non voleva parlare a persone che conosceva: ma questo genere di cose non può più esistere. Il codice rosa funziona, eccome. Funziona così bene che da quando è nato, nel 2012, non c’erano più stati femminicidi, mentre dal 2009 al 2011 furono 12 le donne uccise nella Provincia di Lucca”. La dottoressa spiega che, dallo scorso gennaio, sono stati presi in carico con codice rosa 1490 persone, di cui 1305 adulti e 185 bambini. Il 70 per cento dei soggetti erano donne ed il servizio riceve nuovi casi ogni giorno: “Ne abbiamo registrati altri tre anche questa notte – prosegue – sintomo del fatto che il bisogno è costante, anche se c’è un pool di esperti, tra medici, psicologi ed avvocati, che lavora pressoché volontariamente per garantire un aiuto concreto. Oggi assistiamo alle uscite sulla stampa dei politici di turno, dal Comune alla Regione: c’è voluto il morto perché si svegliassero. Ma dov’erano quando Daniela Caselli faceva anticamere di ore per chiedere alle istituzioni non un aiuto, ma che si assumessero le loro responsabilità?”.
Ed è proprio questo uno dei punti maggiormente dolenti: il sostegno alle persone in difficoltà non può più avvenire a titolo soltanto volontario. Non si può andare avanti con un faticoso dopo-lavoro: serve una struttura organica e permanente.
“La prevenzione – osserva Caselli – passa inevitabilmente per la formazione. Serve maggiore formazione nelle scuole, prima di tutto dei docenti, anche se la verità è che in pochi si rendono disponibili. Devono dare una mano anche i mass media, cercando di dare notizie che non minino la credibilità delle donne. Inoltre bisogna accorciare i tempi del sistema investigativo e di quello giudiziario: non è possibile attendere sistematicamente per dei mesi, perché ogni giorno può essere fatale. Ancora: serve lavorare su un sistema che favorisca il rinserimento sociale e lavorativo delle donne e sono necessari finanziamenti costanti per i centri antiviolenza”.
Un altro strumento indispensabile è il Centro d’ascolto per uomini maltrattanti: “Tutti quelli che oggi si stracciano le vesti – commenta Fanucchi – hanno fatto poco o nulla per cambiare lo stato delle cose. Il nostro sportello, dalla sua nascita, ha già ricevuto una ventina di persone. Cerchiamo di guidare gli uomini autori di violenze in un percorso d’ascolto che nasce individualmente e poi sfocia in gruppo”.
E che la questione sia terribilmente concreta è confermato anche dai dati del primo semestre 2016 sulle donne accolte in case rifugio: sono 24 adulte (contro le 16 del 2015) e 29 minori (contro le 22 del 2015). Tra le prime, 9 sono italiane e 15 straniere, mentre la fascia d’età maggiormente coinvolta è quella che va dai 30 ai 39 anni, con 10 casi all’attivo (segue la fascia 40-49). Sempre con riferimento al primo semestre 2016, 6 donne accolte provengono da Lucca, 6 da altre province, 4 da fuori Toscana, 2 da Capannori ed altre da Comuni limitrofi. La violenza è stata denunciata in 21 casi su 24.
Il Centro antiviolenza (Cav), nello stesso periodo dell’anno, ha registrato un totale di 87 utenti, con 40 segnalazioni di codice rosa: la maggior parte delle persone aiutate proviene e dal territorio della Piana di Lucca (più di 60 soggetti italiani, il resto straniere).

I dati del centro antiviolenza nel dettaglio
In totale le donne che si sono rivolte al Centro Antiviolenza dall’inizio dell’anno sono 87, di cui 40 sono state prese in carico dal Codice Rosa. La maggior parte delle utenti sono italiane e provengono dalla Piana di Lucca. Come arrivano al centro? Tramite il passaparola, quindi materiale informativo, media, televisioni, social network. Altre arrivano dal pronto soccorso, dai servizi sociali o consigliate dalle forze dell’ordine.
In aumento anche i numeri delle case rifugio: dal gennaio di quest’anno sono state ospitate 24 donne e 29 minori rispetto alle 16 donne e 22 minori dell’intero 2015. In maggioranza straniere, l’età media di chi letteralmente “scappa di casa” per sfuggire alla violenza, va dai 30 ai 50 anni, non mancano giovanissime sotto i 20 anni e alcuni casi di signore anziane. Dato positivo: tutte o quasi hanno sporto denuncia.

Paolo Lazzari

Sostieni l’informazione gratuita con una donazione

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di Lucca in Diretta, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.