Si ritrova senza diploma e laurea, odissea per una docente

A chi non è accaduto almeno una volta nella vita di sognare di ripetere l’esame di maturità? Per una insegnante lucchese quell’incubo, forse prima vissuto soltanto nei sogni, si è trasformato in un incubo reale. Già perché svegliandosi un mattino qualsiasi si è resa conto che non soltanto la sua maturità, ma anche la laurea si era dileguata. Annullata, perché non risultava diplomata. Eppure quei duri anni di studio non se li era affatto sognati. E l’odissea che ha dovuto attraversare per dimostrare di essere invece in possesso di tutti i requisiti alla fine è servita a ristabilire oltre che il principio di verità, anche quello, si potrebbe dire, di realtà. Una storia assurda e per certi versi incredibile quella accaduta alla donna  che da un giorno all’altro si era ritrovata di fatto con la sola licenza media in mano e oltre allo sgomento ha dovuto convivere con il terrore di perdere anche il posto di lavoro oltre alla credibilità e all’onore. Per fortuna poi alla fine così non è stato.

Un piccolo incubo ad occhi aperti, durato però 7 lunghi anni e terminato solo ieri (7 gennaio) con la sentenza definitiva del Consiglio di Stato che restituisce parte della sua vita a Maria Antonella Perazzetta, che le era stata tolta da una serie di atti burocratici a dir poco inquietanti. L’insegnante, 60enne, nel 1976 si era diplomata a Lucca all’istituto magistrale per poi conseguire la laurea all’università di Siena, in Scienze dell’educazione, e quindi iniziare a lavorare, per sua fortuna, in un istituto privato italiano di Latina dove poi si era trasferita e sposata. Sette anni fa, quindi a 53 anni, con un figlio poco più che maggiorenne e vedova, si era vista “retrocedere” all’improvviso alla sola licenza media. La donna riceve infatti un decreto rettoriale che la informa che la sua laurea è nulla. Ma non solo. La decisione dell’ateneo senese era avvalorata da un’altra pronuncia stavolta dell’ufficio scolastico provinciale lucchese che affermava di non avere in archivio nessuna donna diplomata che corrispondesse al suo nome in quegli anni a Lucca. In un sol colpo lo Stato non le riconosce più né la laurea né il diploma.
La donna in quel momento quindi risulta in possesso della sola licenza media, e se l’istituto privato dove lavora non avesse deciso di attendere gli esiti processuali fino alla fine sarebbe potuta andare anche peggio. Per lei iniziano 7 anni di battaglie giudiziarie che solo il 12 ottobre scorso iniziano a dare i primi frutti. L’insegnante lucchese si era diplomata all’istituto Leone XIII dove però l’istituto magistrale successivamente era stato soppresso e non avendo ritirato il diploma in originale ad un certo punto non aveva “le carte” per dimostrare quello che aveva solo autocertificato all’epoca dell’iscrizione all’università di Siena. L’archivio della Leone XIII era stato suddiviso tra il Paladini e il Nottoli dopo la sua soppressione, e proprio al Paladini nell’autunno scorso dopo lunghe ed estenuanti ricerche è venuto fuori un documento che ha aperto uno squarcio nel buio.
Il documento che attestava il passaggio della ormai ex alunna dal biennio al triennio della Leone XIII ha convinto i giudici della buona fede della donna e anche se non è venuto fuori il diploma vero e proprio, perduto insieme ad altri documenti di centinaia e centinaia di studenti dopo la soppressione dell’istituto paritario di Lucca, la vicenda giudiziaria ha iniziato a prendere una piega favorevole all’insegnante lucchese. Il Tar di Firenze aveva respinto il ricorso della donna ma il Consiglio di Stato ha definitivamente accolto l’appello dell’insegnante con una sentenza riparatoria, in parte, dell’odissea che ha dovuto affrontare negli ultimi 7 anni. Scrivono infatti i giudici di Palazzo Spada: “L’amministrazione avrebbe potuto in epoca ben precedente procedere all’effettuazione di accertamenti sul conseguimento del titolo di scuola superiore e, comunque, definire le verifiche prima di consentire allo studente di sostenere l’esame di laurea, evitando il consolidamento di una posizione giuridica, indubbiamente venutasi a creare con il superamento dello stesso. Le considerazioni esposte consentono, dunque, di ritenere l’invalidità dell’impugnato decreto di annullamento, il quale deve essere, di conseguenza, annullato”. Tuttavia, è stata respinta la domanda di risarcimento. Nessun danno, infatti, è stato riconosciuto all’insegnante lucchese che negli anni ha mantenuto, per fortuna, il posto di lavoro che aveva. Secondo i giudici comunque sia l’università di Siena che l’ufficio scolastico provinciale hanno comunque agito in modo conforme alla legge, secondo i giudici. L’istituto all’epoca, secondo quanto ricostruito, non era abilitato a rilasciare diplomi ma questo la donna non poteva saperlo ed era rimasta vittima del meccanismo in cui era venuta a trovarsi insieme a tante altre persone ma il percorso di studi e gli esami per il conseguimento del diploma erano stati effettuati e conclusi. I giudici del Consiglio di Stato hanno quindi applicato il buon senso alla legge. Gli avvocati della donna, Pietro e Adriano Verdesca Zain sono soddisfatti anche se non nascondono la stanchezza di una battaglia giudiziaria lunga ed estenuante soprattutto per la loro assistita e per la sua famiglia. “Devo ammettere che questa vicenda – afferma l’avvocato Pietro Verdesca – aveva toccato un tasto che forse rappresenta davvero un incubo tra i peggiori che si possano vivere: quello di vedersi togliere, per errore, tutto ciò che si è raggiunto e conquistato nella vita con sacrificio e duro lavoro, e siamo contenti per i risultati raggiunti anche se con ritardo”. Meglio tardi che mai. Non resta da dire a questo punto che tutto è bene quel che finisce bene. Anche se per la protagonista di questa assurda vicenda è una magra consolazione.

Vincenzo Brunelli

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