Volpe nel deserto, assoluzione per 5 in appello

Una nuova tappa che con tutta probabilità chiude definitivamente la ormai famigerata operazione Volpe nel Deserto, l’inchiesta della magistratura che risale al 2011, nella quale la procura di Lucca aveva ipotizzato che gli indagati fossero coinvolti in concorso tra loro, in un giro di corruzione per favorire la società Valore per la realizzazione di un grande insediamento urbanistico nel quartiere di Sant’Anna.

Nel pomeriggio di oggi (2 aprile) la corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza di assoluzione di primo grado (davanti al gup di Lucca, Silvia Mugnaini, con rito abbreviato) per l’architetto Giovanni Valentini, ex presidente della società Valore, per il dirigente comunale Maurizio Tani, oer i professionisti Andrea Ferro e Antonio Ruggi e per l’ex vicepresidente di Sistema Ambiente Sauro Doroni. Niente appello, invece, per l’ex sindaco Mauro Favilla e per l’ex assessore ai lavori pubblici del comune di Lucca Marco Chiari, per cui nel 2015 il Gup aveva chiesto il non luogo a procedere.
L’indagine era partita nel 2011 e aveva visto i carabinieri del nucleo investigativo di Cortile degli Svizzeri impegnati in mesi di intercettazioni telefoniche e indagini sui movimenti dei vari indagati e sullo scenario urbanistico lucchese, che ruotava intorno al progetto attuativo, prevalentemente per la realizzazione di edifici a vocazione direzionale e commerciale che era stato inserito nel regolamento urbanistico di Lucca e che quindi sarebbe dovuto sorgere in viale Einaudi. Un’indagine articolata che aveva prodotto centinaia di pagine di conversazioni e dove proprio da una battuta dell’ex assessore Marco Chairi era stato dato il nome all’operazione ovvero Volpe nel deserto. Indagini che alla fine dei fatti non erano riuscite comunque a giustificare le misure restrittive scattate all’alba di un giorno del maggio 2012, a pochi mesi dalle elezioni amminsitrative di Lucca, quando i carabinieri si presentarono alla porta di Marco Chiari e Maurizio Tani per notificare le misure cautelari che prevedevano un’ordinanza di arresto in carcere, mentre per Giovanni Valentini, Antonio Ruggi e Andrea Ferro, furono disposti i domiciliari per timore di inquinamento probatorio.
Il tribunale del riesame, pochi giorni dopo, però, accolse le istanze di scarcerazione e non ritenne giustificate le misure accordate dal giudice per le indagini preliminari, sentenza che poi fu confermata anche dalla Cassazione. Insomma, un impianto accusatorio che già non aveva retto a un riesame delle indagini preliminari e che per il tribunale di Lucca non ha retto neppure in sede di giudizio.

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