Ingiusta detenzione, niente risarcimento per Mallegni

E’ stato negato definitivamente dalla suprema corte di Cassazione il risarcimento danni per ingiusta detenzione per il senatore Massimo Mallegni e per i coimputati dell’epoca, Giuseppe Coluccini, Franco Fantechi e Marco Fantechi, tutti assolti. Massimo Mallegni fu arrestato il 31 gennaio del 2006, quando era sindaco di Pietrasanta al secondo mandato, e rimase in carcere al San Giorgio di Lucca per 40 giorni. Si fece poi 117 giorni ai domiciliari.

Il processo, durato circa sei anni, lo aveva visto alla sbarra con una serie di altri imputati. Secondo le accuse, Mallegni avrebbe approfittato del suo ruolo di primo cittadino per favorire illecitamente la cerchia di imprenditori amici. Ma il 3 aprile del 2012 arrivò la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Restava in piedi la condanna in primo grado per abuso di ufficio per cui sopravvenne prescrizione definitiva nel 2015. La Corte d’appello di Firenze aveva rigettato le domande di riparazione per ingiusta detenzione proposte dalle 4 persone assolte, pronunciandosi all’esito del giudizio di rinvio scaturito dalla sentenza della Cassazione del 2017 che aveva annullato l’ordinanza della corte d’Appello di Firenze con la quale la domanda di riparazione proposta dagli interessati era stata invece accolta, in relazione al procedimento penale per associazione per delinquere e reati contro la pubblica amministrazione, dai quali gli stessi erano stati assolti. Nell’accogliere il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e finanze, la corte di Cassazione ha affermato che la corte Territoriale aveva omesso di valutare i comportamenti eventualmente colposi dei ricorrenti con prognosi ex ante, di fatto giustificando il riconoscimento dell’indennizzo quale conseguenza automatica del proscioglimento degli imputati. Ai fini dell’accoglimento di un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, infatti, non è sufficiente che vi sia stata una sentenza di assoluzione che abbia accertato la infondatezza della ipotesi accusatoria all’esito del giudizio di merito, essendo altresì necessario che l’interessato non abbia dato  concorso a dare causa alla custodia cautelare subita con dolo o colpa grave. Tali requisiti non sono stati riscontrati nel caso giudiziario in questione. “I ricorsi – scrivono infatti gli ermellini – conseguentemente devono essere dichiarati inammissibili”. La vicenda giudiziaria si è conclusa definitivamente in ogni suo aspetto.

Vincenzo Brunelli

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