Cassazione a sezioni unite: no a panino da casa

La fine di un’era, specialmente per gli over 40 che ricordano bene il panino portato a scuola preparato dalle premurose mamme italiane per decenni. Tutto questo appartiene ormai al passato, al mondo dei ricordi e ai luoghi della memoria. Alla fine infatti è arrivata la sentenza della Cassazione e sezioni unite per dirimere definitivamente la controversia sul panino da casa nelle scuole.

Per gli ermellini non esiste alcun diritto soggettivo a portare cibo da casa in alternativa alle mense. Ribaltate così alcune sentenze d’appello, sia della giustizia ordinaria sia amministrativa da parte del Consiglio di Stato che avevano dato ragione a movimento di genitori e soprattutto del Comune di Torino. Ma anche a Lucca si erano mobilitati molti genitori favorevoli al panino da casa nelle scuole.
La vicenda del panino da casa era iniziata nel novembre 2014, quando 38 genitori di alunni delle scuole comunali elementari e medie di Torino decisero di avviare una causa contro il Comune e il ministero dell’Istruzione. In primo grado le loro istanze erano state respinte. La decisione successiva della Corte d’appello, a loro favorevole, aveva aperto le porte ad un movimento nazionale per la libertà del panino da casa, spingendo molte altre scuole, come l’Ics Capponi di Milano, a decidere in questo senso. Anche una sentenza del Consiglio di Stato sul Comune di Benevento, che annullava il regolamento voluto dalla giunta comunale che vietava il pasto da casa, andava in questa direzione.
E poi man mano la tendenza si era allargata a macchia d’olio da Torino a quasi tutto il Piemonte, estendendosi a Venezia, Verona, Ferrara, Genova, Guidonia, Milano, Benevento, Lucca e altre decine e decine di comuni in Italia. In tutti questi posti sono stati presentati e vinti ricorsi, inoltrate diffide ed alla fine i genitori avevano vinto. Ma il pronunciamento di oggi mette fine a questa possibilità. Non esiste dunque un diritto soggettivo a mangiare il panino portato da casa «nell’orario della mensa e nei locali scolastici» e la gestione del servizio di refezione è rimesso all’autonomia organizzativa delle scuole.
“L’istituzione scolastica – sottolineano le Sezioni Unite della Cassazione- non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità», con «regole di comportamento” e “doveri cui gli alunni sono tenuti”, con “reciproco rispetto, condivisione e tolleranza”. Peraltro, spiegano i giudici, “i genitori sono tenuti anch’essi, nei confronti dei genitori degli alunni portatori di interessi contrapposti, all’adempimento dei doveri di solidarietà sociale, oltre che economica”. In buona sostanza per la Cassazione i genitori degli alunni non possono rivolgersi al giudice per “influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa” delle scuole. Caso chiuso.

Vincenzo Brunelli

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