Pronto soccorso, proteste per le attese

Tre episodi, tre testimonianze diverse. Nel mirino i servizi del pronto soccorso di Lucca e in generale il nuovo ospedale cittadino. Dopo la testimonianza in controtendenza di una lettrice, che aveva elogiato il personale del San Luca (Leggi l’articolo), ecco che arrivano alcune storie di segno totalmente diverso.
“Un anno fa – racconta una prima signora – mi sono recata in ospedale per delle coliche, sapevo di avere i calcoli alla cistifellea e decidono di ricoverarmi per il valore degli enzimi pancreatici elevato. Dopo qualche giorno, fatti gli accertamenti del caso, scoprono che un calcolo è finito nella zona pancreatica. Avrei avuto bisogno di intervento al momento, data l’urgenza.

Mi hanno dimessa, dicendomi che avrei dovuto prendere contatti con un chirurgo. Dal momento che la situazione era grave (ho rischiato la pancreatite e tutte le sue conseguenze), oltre ad avermi dimessa pur sapendo che non era la decisione giusta, mi hanno chiamata per sincerarsi che io avessi effettivamente contattato un chirurgo. Cosa che forse avrebbero dovuto fare loro, da interni. Vista l’attesa che c’è per avere una visita specialistica, mi sono dovuta rivolgere privatamente ad un chirurgo. Tutto ciò risale al mese di maggio: presi contatti con il chirurgo, iniziata la preospedalizzazione e tutto l’iter da seguire, arriviamo a fine luglio. Mi convocano per la rimozione del calcolo nella zona pancreatica in endoscopia, senza sincerarsi che nulla fosse cambiato, procedono all’intervento. Al mio ritorno dalla sala operatoria, il chirurgo mi dice che non c’era più nessun calcolo e che mi ha scatenato la pancreatite per cercarlo. Motivo per cui mi ricoverano, di nuovo. Nel frattempo, la mia unica alimentazione erano flebo, tè e fette biscottate perché le coliche persistevano”.
“Nonostante ciò – prosegue il racconto – proponevano la mia dimissione e di ripresentarmi dopo agosto (dopo le loro ferie) per la seconda operazione: asportazione della cistifellea. Con una media di zero pasti decenti al giorno e minimo due coliche, loro hanno insistito per dimettermi e io ho insistito per rimanere. Il 4 agosto mi trasferiscono in chirurgia con una colica in corso, e il 6 riescono ad operarmi nonostante mi sia sentita quasi come si mi avessero fatto un favore. In realtà, è il loro lavoro. Al rientro dalla sala operatoria comunicano ai miei familiari che un calcolo, erroneamente, è sfuggito dalla cistifellea e che si è inserito nuovamente nella zona pancreatica e che non hanno potuto rimuoverlo perché non avevano gli strumenti necessari.
Mi è stato promesso, nei due giorni successivi, un intervento per rimuovere questo calcolo fantasma. “Promesso” perché questo intervento non è mai avvenuto, perché chi mi aveva in reparto mi ha tenuta a digiuno 24 ore senza nemmeno un goccio d’acqua, pronta per andare in sala operatoria, ma non aveva programmato l’intervento. Non aveva neanche contattato il chirurgo che avrebbe dovuto operarmi. Nel frattempo, insieme alla promessa di intervento, c’è stata anche la promessa di rimozione drenaggio in dotto biliare inserito durante l’asportazione della cistifellea”.
“Con il senno di poi, consultando altri esperti (non al San Luca) – prosegue la signora – mi è stato detto che la rimozione del calcolo con il drenaggio inserito, non era possibile farla perché avrebbe comportato la rottura del dotto biliare con conseguente travaso di liquido biliare in addome. Morale della favola: il 15 agosto impongo di essere dimessa, mi sono dovuta rivolgere ad uno specialista dell’ospedale di Cisanello il quale mi ha riferito che i miei due interventi potevano essere fatti in un’unica soluzione definita “rendez vous” e che il drenaggio (inserito ma non necessario) non potevo rimuoverlo prima di sei mesi. Ho concluso il mio intervento di asportazione della cistifellea il 26 dicembre, da luglio che era iniziato. In questi sei mesi, che non sono stati piacevoli come convalescenza, ho avuto tantissimi problemi causati da tutto questo: impossibilità di fare più di un pasto ipolipidico al giorno, fortissimi dolori di stomaco e all’addome con conseguente perdita di 20 chili. Posso ritenermi fortunata se ad oggi sono qui a scrivere e raccontare ciò che mi è successo”.
L’altra testimonianza, più recente, data domenica 1 settembre: “Mi sono recato al pronto soccorso dell’ospedale San Luca di Lucca lamentando dolori al costato e difficoltà respiratorie – dice un paziente – In base ai miei sintomi, all’accettazione mi è stato assegnato il codice 5. Mi aspettavo di essere chiamato abbastanza in fretta, ma il tempo passava e le persone arrivate dopo di me, riuscivano ad essere visitate prima. Sono arrivato in pronto soccorso alle 15,45 e, dolorante e anche un po’ risentito, mi sono informato varie volte sull’entità dell’attesa ma, in realtà, nessuno è mai stato in grado di dirmi quanto avrei dovuto aspettare, preferendo rimanere sul vago e dire “ci sono ancora tante persone prima di lei”. Alle 21,45 circa, esasperato, mi sono rivolto nuovamente all’accettazione per sapere quando sarebbe stato il mio turno, ma è stato vano, mi hanno ripetuto “ci sono molti pazienti ancora da visitare prima che tocchi a lei”. Alle 22, dopo più di 6 ore di attesa, ho deciso di andarmene, senza ricevere nessuna cura e senza neppure essere stato visitato. E se il mio dolore al costato fosse stato sintomo di qualcosa di grave? E se un giorno questa non curanza portasse a qualcosa di grave, chi se ne farebbe carico? Mi auguro non succeda mai”.
L’ultima testimonianza è della figlia di un paziente: “Consiglio di fare un giro al pronto soccorso dell’ospedale San Luca: è intasato completamente. Mio padre aveva una anemia importante e doveva fare una trasfusione. Dopo sette ore di attesa sono stata costretta a portarlo a casa. È anziano, diabetico, con problemi cardiologici gravi eppure non si è riusciti a visitarlo in quel lasso di tempo”.

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