Morta Vera Michelin Salomon, testimone delle atrocità naziste

Vera Michelin Salomon, giovanissima antifascista con i ragazzi di via Buonarroti a Roma durante la seconda guerra mondiale, testimone della memoria e delle deportazioni, si è spenta a 96 anni. “Non la ringrazierò mai abbastanza”, commenta la vice presidente ed assessore alla cultura della Toscana, Monica Barni.

Vera, che viveva a Lucca, ha raccontato infatti più volte la sua storia ai ragazzi toscani. L’ha fatto con ricordi generosi, e con parole che arrivavano come un pugno ed altre volte come lame di rasoio, come quelle di altri superstiti: senza risposte immediate ma capaci di agitar nella mente un turbine di domande. Ed è in fondo quello il potere autentico e l’importanza della testimonianza della memoria. Vera è salita sul Treno della memoria toscano, organizzato dalla Regione, la prima volta nel 2005. C’è tornata nel 2015 e poi ancora nel 2017, incontrando al cinema Kijow di Cracovia gli oltre cinquecento studenti delle scuole superiori toscane presenti. Di nuovo ci aveva parlato nel 2017 e 2018, durante i meeting per il Giorno della memoria a Firenze, in un Mandela Forum affollato da oltre ottomila ragazzi. E c’era anche, nove mesi fa, alla partenza dell’ultimo treno della memoria nel 2019: lì nella sala Pegaso del palazzo della presidenza della Regione, il fazzoletto dell’Aned, l’associazione degli ex deportati, come sempre annodato al collo e disteso sulle spalle, un basco beige in testa, premiata con il Pegaso d’Oro della Regione assieme agli altri scampati agli orrori della Shoah e delle persecuzioni nazifasciste che negli anni si sono assunti il compito di essere testimoni vivi di quello che è stato. Assieme alle sorelle Andra e Tatiana Bucci, Kitty Braun e Vera Jarach, come Marcello Martini (scomparso anche lui lo scorso agosto), come Gilberto Salmoni, come Antonio Ceseri che il Pegaso l’ha ricevuto alla memoria.
Così la ricorda il sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini: “Se ne è andata anche Vera Michelin Salomon, stamani, nella nostra città, dove viveva da diversi anni.
È un elenco che si allunga e che ci rende tutti più tristi – e più poveri – quello che siamo costretti a mettere insieme col passare dei mesi, quando i nostri anziani, testimoni insostituibili della guerra, dell’antifascismo e della Resistenza, vengono a mancare anno dopo anno. Anima attiva dell’antifascismo romano, arrestata dalle Ss e condotta nella prigione di via Tasso, poi trasferita a Regina Coeli e testimone degli ultimi momenti di vita dei detenuti che furono trucidati alle Fosse Ardeatine, quindi deportata in Germania nel carcere di Aichach, fino alla Liberazione, che avvenne poche settimane dopo la liberazione di Dachau. Vera era una donna libera, moderna, visionaria nel suo guardare al futuro e ai giovani. Impegnatissima nell’opera di attualizzazione della memoria, missione che ha esercitato fino all’ultimo da presidente dell’Aned, l’associazione nazionale degli ex deportati, di Vera mi ha colpito la passione per la libertà, che le animava gli occhi e lo spirito. La sua stessa vita è l’esempio più vivido di cosa significhi lottare per un ideale, per un mondo più giusto e più libero: una convinzione ostinata che ha attraversato tutta la vita di Vera e che arriva a noi come un testimone da cogliere e da portare avanti. Per noi stessi, per gli altri, per quell’ideale che è rimasto ancora intero: di un mondo più libero, più giusto, per tutti uguale. Grazie di tutto Vera. Sono vicino alla famiglia in questo momento di grande tristezza e dolore”.
“Il sorriso e la preziosa lucidità di Vera ci mancheranno moltissimo, a noi che l’abbiamo ascoltata sul treno della memoria o dal palco del Mandela Forum per il giorno della memoria – commenta ancora Barni – Vera è stata capace sempre di trasmettere il coraggio, la forza e l’apertura della mente e del cuore. Testimone della deportazione politica, è stata un grandissimo esempio di vita e di lotta contro l’ingiustizia”.
A chi nel 2015 la intervistò nel suo appartamento romano prima della partenza del treno, apparecchiando la tavola di fogli ingialliti che ripercorrevano la storia del processo sommario subito e la prigionia in un carcere duro in Germania, ammoniva che “occorre prima di tutto studiare, essere curiosi e sapere in che mondo si vive”. “Rinchiudersi anche solo con una cuffia per ascoltare la musica mentre sei sull’autobus è il primo sbaglio – diceva, lucida di fronte ai pericoli dell’indifferenza e del pregiudizio – Poi se uno sa, non può che comportarsi di conseguenza”. Aveva diciotto anni quando nel 1941 arrivò a Roma dalla provincia piemontese, tradizioni valdesi e figlia di pastori protestanti dell’Esercito della salvezza, desiderosa di autonomia. Tre anni più tardi fu arrestata per Resistenza non armata, colpevole di aver distribuito volantini contro i tedeschi e il regime. Deportata politica nella prigione di Stadelheim vicino a Monaco di Baviera, dopo una sosta nel lager di Dachau, e poi nel carcere duro di Aichach.
Ai ragazzi toscani si racconta nel 2018 come una ribelle mai pentita. Certo il ritorno a casa non fu facile. “Fu deludente – ricordava –  perché gli italiani non avevano molta voglia di sapere ciò che avevamo vissuto. C’era un muro che mi divideva dagli altri”. Poi l’incontro con l’Archivio diaristico nazionale di Tutino, lei che forse non a caso aveva scelto di fare la bibliotecaria, e quindi il nuovo impegno civico sul fronte della memoria, in ultimo presidente dell’Aned di Roma dal 2009 e presidente nazionale onorario dal 2016.
Da qualche tempo Vera si era trasferita a Lucca. Ed è lì che ieri, il 27 ottobre, si è spenta, in ospedale. “Viviamo in una dittatura collettiva?” le chiesero a Cracovia nel 2017 i ragazzi toscani. Domanda difficile. “La democrazia – risposte – va conquistata e difesa giorno dopo giorno. Anche oggi. Bisogna informarsi, sapere le cose, comprendere la realtà che ci circonda”. Un insegnamento che ci lascia.

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