In trincea al San Luca: “È dura ma siamo felici di poter aiutare i pazienti”

Il racconto di un infermiere: "Giornate intere senza fermarsi ma la vera sfida è quella di chi è ricoverato"

Sono in prima linea ormai da lunghissime settimane, ma nessuno di loro getta la spugna. Gli infermieri dell’ospedale San Luca, insieme al resto del personale sanitario, stanno dando il massimo in questi giorni così difficile. Tra di loro c’è Daniele, infermiere in Medicina, che racconta la sua esperienza: “Nonostante tutte le difficoltà ed i disagi, sono felice di poter dare il mio contributo in questo momento difficile, e dare il mio supporto ai pazienti per ridurre l’isolamento”.

“Dal momento in cui sono arrivati i primi malati Covid 19 positivi al pronto soccorso in ospedale a che sopraggiungessero in Medicina il passo è stato breve – racconta Daniele -. All’inizio arrivavano in Malattie infettive e terapia intensiva, poi con l’aumentare dei positivi e dei ricoveri, venivano ricoverati in sub intensiva parte della chirurgia e poi in medicina, ma tutto sembrava lontano da me, sentivo parlare di difficoltà di disagi da parte di colleghi che avevano iniziato ad assistere questi malati, per il paziente che ha difficoltà a respirare e che improvvisamente può desaturare, all’utilizzo dei Dpi  con cui più di qualche ora non si riesce a tenerli, in me nasceva un dispiacere per questi colleghi che riferivano queste difficoltà, ma non le percepivo, non le vivevo”.

La situazione tuttavia cambia rapidamente: “Poi arrivano i pazienti positivi anche dove lavoro, e quindi provo il disagio e la difficoltà di portare Dpi per alcune ore, la sudorazione che non puoi arrestare, se hai prurito non ti puoi grattare, se hai sete non puoi bere, non puoi andare in bagno, ma questo è si un disagio, ma mai quanto riesci a vedere nella sofferenza dei pazienti ricoverati nei loro occhi smarriti, nelle loro parole di aiuto, nel loro totale isolamento, isolamento che si aggrava perchè oltre a non avere una presenza familiare accanto, una mano di un operare che ti tocca, il personale è tutto uguale irriconoscibile senza volto, ma dove riesci a scorgere solo gli occhi ed a volte senza nitidezza perchè gli occhiali degli operatori sono appannati”.

“Allora penso – prosegue – a come posso alleviare la loro sofferenza, ma non fisica, perchè come professionista lo faccio, ma emotiva, per ridurre l’isolamento che il paziente prova, quindi mi scrivo il nome sul Dpi per essere più riconoscibile, cerco di dare una parola di sollievo, di speranza, di sorridere ma tutto mi sembra sempre poco, perchè penso ai colleghi della terapia intensiva e sub intensiva, che sono veramente in prima linea con pazienti impegnati e più in sofferenza di quelli che devo assistere io, che devono affrontare la vera criticità di questo devastante virus”.

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