Coronavirus, dimesso dall’ospedale il notaio De Stefano: il racconto della malattia

Tosse e febbre poi i dubbi e il tampone positivo: "Grazie all'abnegazione dei sanitari. In questa emergenza si pensi ai diritti di tutti"

In questa situazione di incertezza che stiamo vivendo si intravede una flebile luce in fondo al tunnel ogni volta che un paziente affetto da coronavirus guarisce. Stamani (13 marzo) il notaio Francesco Filippo De Stefano risultato positivo al tampone, dopo una dura lotta con il virus, ha vinto la sua battaglia ed è stato dimesso dall’ospedale ed è pronto per affrontare il periodo di convalescenza.

Una battaglia terribile che lo ha provato. Adesso però si sente meglio, i valori di ossigenazione del sangue rientrano nei parametri, risponde tranquillamente al telefono e ha una voce calma e molto rilassata nel mentre descrive la sua esperienza: “Sono stato ricoverato il 13 di marzo e sono stato dimesso oggi (3 aprile, ndr) precedentemente avevo avuto per quattro giorni febbre e tosse. Ho capito di avere qualcosa che non andava, facendo attenzione ai campanelli d’allarme che il corpo lanciava. Nel mio caso ha contato tanto il pregresso, negli ultimi dieci anni ho avuto due polmoniti interstiziali rilevate tramite Tac. Distinguere i sintomi da un’influenza stagionale e una malattia più grave come questa richiede una certa esperienza e sensibilità”.

“Di fronte ad una tosse catarrosa o un raffreddore non si è in presenza del virus – spiega De Stefano – quando si è in presenza di una polmonite, la mancaza di fiato, l’incapacità di fare respiri profondi, di restare in apnea, sono tutti campanelli d’allarme per chi è abituato ad ascoltare il proprio corpo. Consultandomi con amici medici è apparso un quadro abbastanza chiaro, ho quindi deciso di tagliare la testa al toro e ho chiamato il 118”.

Alcune persone hanno lamentato la difficoltà di essere assistiti in questi giorni di emergenza:
 “Se si usano i canali allestiti per l’epidemia di coronavirus è più difficile avere dei contatti, molte volte sono occupati e non rispondono, se si contatta il 118 e pronto soccorso, rispondono in maniera tempestiva”.

De Stefano prosegue il suo racconto: “Mi hanno portato al pronto soccorso e lì hanno fatto gli accertamenti primari e il tampone è risultato poi positivo. A quel punto è inziata tutta la trafila che mi ha visto ricoverato nel reparto day surgery, poi per 12 giorni in terapia subintensiva e finalmente quando l’ossigenazione ha ripreso ad essere regolare e non c’era più bisogno di una macchina per respirare sono stato portato al reparto di malattie infettive”.

Ci sono stati molti giorni di sofferenza durante il periodo di malattia: “Il momento più traumatico di questa situazione l’ho vissuto durante il ricovero in terapia sub intensiva. In quel reparto i malati vengono aiutati a respirare tramite delle macchine chiamate Niv (ventilazione non invasiva) al paziente vengono applicate delle maschere a ventosa di forma diversa, utilizzate per la respirazione forzata. Le maschere vengono calibrate a seconda dei valori dell’emogas, ovvero di ossigeno nel sangue e si tengono per 15, 12, 10, 8 ore. Se l’organismo reagisce e si riesce a recuperare una capacità polmonare, dopo qualche tempo se ne esce”.

La sensazione che Filippo De Stefano ha avuto è di trovarsi in una situazione in continua evoluzione, il padiglione di day surgery in cui lo hanno ricoverato era stato allestito lo stesso giorno, i medici sono sempre in continuo contatto con i colleghi cinesi e lombardi per collaudare terapie e affrontare insieme il virus.

Esistono alcuni elementi che possono essere determinanti ad influenzare l’andamento della malattia. Sono l’età del malato e le malattie pregresse in corso. Pazienti oncologici, diabetici, ipertesi, tutto ciò che allontana da un quadro clinico normale, rende difficoltosa la cura. Inoltre le terapie messe in atto sono molto invasive e somministrarle a pazienti con problemi in corso può essere rischioso: “Il pregresso nel mio caso non ha influito ma mi è stato utile nel riconoscere la presenza di qualcosa di anomalo – racconta – So cosa è una polmonite, i problemi che ho avuto non hanno amplificato l’effetyo del virus. Per affrontare meglio la malattia occorre che sia riconosciuta in maniera tempestiva, perché l’accelerazione è impressionante e in poche decine di ore può portare alla morte. Essere ricoverato dopo molti giorni può portare alla compromissione del quadro clinico e il corpo potrebbe non essere in grado di reagire”.

Durante la malattia De Stefano ha perso otto chili: “Nel reparto di terapia subintensiva l’alimentazione è indotta, quindi non mangi un pasto completo, dei ventun giorni di ricovero quindici li ho passati con delle flebo, c’è anche un rifiuto al cibo a causa del cocktail di medicinali che crea inappetenza. Ripartire dopo molti giorni a mangiare un piatto di semolino è una conquista. Quando ho riacquisito la capacità di poter respirare senza bisogno di macchine, ho capito che stavo migliorando”.

La terapia prevede l’utilizzo di farmaci contro la malaria, contro l’Hiv e contro l’artrite reumatoide. Il ciclo tecnico è di circa sei giorni e poi continua con una normale terapia di antibiotici tradizionali con cui si curano le polmoniti.

Quando i parametri di ossigenazione sono nella norma e si è autonomi nella respirazione si può essere dimessi:
“Per dichiarare la negatività di un paziente sono necessari due tamponi consecutivi negativi – aggiunge De Stefano – in quel caso ci troviamo in una situazione che non è semplice valutare perché i valori di un tampone di chi sta guarendo sfiorano i margini della positività e della negatività, quindi è possibile che uno risulti negativo e un altro positivo. Io rientro in questa tipologia, un tampone è risultato positivo e il secondo negativo, siamo in attesa dell’esito degli altri tamponi fatti. Da questo dipende la quarantena successiva se si ha un tampone positivo e uno negativo si rimane in quarantena fino a che non si raggiunge l’esito di due tamponi negativi”.

Chi è guarito sviluppa degli anticorpi contro il virus. Ciò non toglie che debba comunque mantenere le misure precauzionali ministeriali. Si diventa persone guarite dalla malattia ma sempre soggette alla possibilità di una ricaduta.

Ciò che colpisce di più i pazienti durante le cure è il comportamento dello staff di tutto l’ospedale di fronte a questa emergenza: “C’è totale abnegazione nel lavoro che stanno facendo, c’è una componente di affezione e esecuzione corretta del loro lavoro di fronte ad una reale situazione di pericolo. Certe volte si legge di persone che si fanno paure ingiustificate nell’affrontare determinanti lavori quando ci sono altre, come loro, che si portano addosso una croce enorme. Sono padri, madri, hanno una famiglia proprio come noi, ma ogni giorno si vestono e non vanno a fare un lavoro a rischio, loro vanno direttamente nel contagio. Io consiglio agli operatori che lavorano ancora oggi nelle attività aperte, di rassicurarsi e di adottare le giuste precauzioni di sicurezza previste dalla legge senza lamentarsi. Non sapevo cosa volesse dire fare l’infermiere, prevede molti settori di competenze tecniche e non solo che richiedono una vocazione e un’ idole adatta per praticare assistenza ai malati. E’ una cosa che non si può fare per contratto ma proprio vocazione”.

“Ho pensato che sia un dovere per me comunicare un ringraziamento veramente partecipato a tutta la struttura sanitaria senza escludere nessuno – conclude Di Stefano – Mi preme anche fare un appello alla gestione della ‘cosa comune’. Non possiamo dimenticare che siamo come in un condominio che va amministrato nell’interesse di tutti, allo stesso modo lo Stato va amministrato nell’interesse di tutti. Esistono dei diritti sociali inalienabili, non possiamo lasciare che il lucro e il capitalismo bieco stravolga le vite delle persone e costringa a pagare dei servizi che dovrebbero essere dati soltanto perché siamo nati”.

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