“Vieni a lavoro in minigonna e calze a rete”, ma il giudice respinge le accuse di mobbing in ufficio

Ex dipendente di una realtà della provincia di Lucca ha fatto causa dopo che si era licenziata. Fra le richieste anche quella di portare a spasso il cane

“Mi raccomando minigonna e calze a rete che domani viene il direttore della banca per quel mutuo”. Queste ed altre frasi simili sono agli atti di un processo per mobbing che vede coinvolto un prestigioso ufficio della provincia di Lucca: il giudice ha rigettato il ricorso della ex dipendente ma nelle motivazioni non nega le frasi e i comportamenti borderline.

Un tempo si sarebbe parlato di “insufficienza di prove”. Ma è solo il primo grado di questo particolare e delicato contenzioso che proseguirà, con tutta probabilità, in corte d’Appello. Nei giorni scorsi è stata pubblicata la sentenza di primo grado del tribunale di Lucca che nel rigettare il ricorso della donna l’ha anche condannata inevitabilmente alle spese di lite, quantificate in circa 5mila euro. La donna ha lavorato in questo ufficio per circa 4 anni per poi chiedere le dimissioni per giusta causa proprio in seguito a una serie di fattori che non le consentivano più, secondo lei e i suoi legali, di proseguire l’attività lavorativa.

Tra i motivi delle sue dimissioni anche alcune frasi e comportamenti che nemmeno il giudice ha negato, per via delle testimonianze in aula dei colleghi della donna, ma che ha attribuito a un “possibile clima confidenziale”. Si legge infatti in sentenza: “Questo clima, verosimilmente, aveva determinato anche modi più confidenziali e questo ha certamente inciso, a parere di questa giudicante nelle modalità espressive del direttore che, descritto da tutti come un po’ burbero e un po’ umorale, ha forse ritenuto di essere spiritoso con battute, peraltro di uso corrente (calze a rete e minigonna!) che sono state invece lette come inadeguate o persino offensive da chi quei modi confidenziali non possedeva come proprio patrimonio culturale, per quanto cercasse di farli suoi (come desumibile dalle mail inviate dalla ricorrente al direttore)”.

Ma il giudice va oltre: “Tanto appare a questo giudicante appunto indicativo delle possibili conseguenze di una grande familiarità tra le persone (peraltro espressa anche dalla teste nelle mail prodotte dalla difesa) della familiarità che, a volte può determinare il superamento di rigorosi limiti formali, invece evidentemente importanti per la ricorrente”. Le frasi rivolte alla donna dai suoi superiori, l’attuale direttore generale e l’ex presidente, in più occasioni, alludevano sempre all’uso di minigonne e calze a rete in ufficio specie in occasioni di incontri ufficiali con persone esterne, come nel caso del direttore della banca, e anche all’utilizzo di deodoranti particolari. Infine l’ex presidente le avrebbe anche chiesto di fare da dog sitter al suo cane in alcune occasioni, ritenute però in sentenza “solo la richiesta di una cortesia”.

Il ricorso è stato quindi rigettato e sarà ora la corte d’Appello di Firenze a esprimersi in merito alla vicenda oggetto del procedimento giudiziario.

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