Ex segretaria sottrae 5 milioni dalle casse dell’azienda che gestisce hotel di lusso

Condanna definitiva della Cassazione per la donna, accusata di essersi intascata il denaro in oltre 10 anni

Definitiva la condanna per truffa aggravata continuata all’ex segretaria dell’imprenditore Raffaele Madonna, patron della Cemes spa di Pisa ma con ramificazioni in tutta la Toscana e la Versilia tramite altre società controllate che gestiscono e possiedono anche noti e prestigiosi hotel a Forte dei Marmi.

La donna era stata condannata già in primo e secondo grado a 3 anni di reclusione e ora gli ermellini l’hanno condannata a 2 anni e 8 mesi in via definitiva. Una maxi truffa da circa 5 milioni di euro perpetrata ai danni della società per un lungo periodo, oltre dieci anni, nei quali la donna secondo i giudici si sarebbe appropriata del denaro della società.

Roberta Mannino stando alle ricostruzioni di inquirenti e investigatori, ex segretaria di Raffaele Madonna, attraverso la falsificazione delle firme su bonifici e assegni bancari avrebbe effettuato la spoliazione del denaro dalle casse societarie dal 2001 al 2012 di quello che per la Procura è stato un saccheggio prolungato nel tempo avvenuto all’insaputa di dirigenti e impiegati amministrativi. Denaro che dalle casse della Cemes spa, sarebbe transitato sui conti della ex segretaria di Raffaele Madonna per poi finire in quelli di aprenti. Anche a livello civile il tribunale ha condannato la donna risarcire con 5 milioni di euro (comprensivi di spese legali) l’imprenditore che ha proceduto al pignoramento di quattro case dell’imputata, tra cui una villa a Barbaricina, un appartamento a Tirrenia e un terreno, comprate per i giudici con i soldi provento della maxi truffa.

Il giudice dell’udienza preliminare di Pisa anni fa in sede di abbreviato aveva letto la sentenza con la quale aveva inflitto 3 anni Roberta Mannino, ora ridotti definitivamente a 2 anni e 8 mesi, e 4 anni al marito. Verdetto di non luogo a procedere, invece, perché il fatto non sussiste, era stato emesso nei confronti della mamma del marito, cointestataria del conto sul quale nel corso degli anni erano transitati svariati milioni di euro e che ha sempre sostenuto di essere all’oscuro dei maneggi di figlio e nuora. La donna ha ammesso in aula implicitamente di avere nutrito concreti dubbi sulla provenienza di tali ingenti somme (accreditate sul conto anche ad essa intestato) ma di essersi poi calmata per la “voce sparsa in città” di una vincita al Superenalotto”. Ma erano soldi provento della truffa milionaria. I beni che i giudici sono riusciti a sequestrare e a pignorare sono finiti all’asta per cercare di risarcire almeno in parte la società truffata per anni. Il caso è chiuso.

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