Tre ammanchi di denaro nel noto negozio di fai-da-te, vertici trasferiti ad altra sede per “incompatibilità ambientale”

Il giudice ha respinto il ricorso di uno di loro contro il cambiamento di luogo di lavoro. Le somme non sono mai state ritrovate

Il mistero dei soldi scomparsi, tre ammanchi di denaro in un noto negozio di “fai da te” della Lucchesia che hanno portato ad una serie di indagini interne e delle forze dell’ordine senza nessun risultato.

I soldi non sono mai stati ritrovati così come non è stato mai individuato il responsabile nonostante le indagini interne e delle forze dell’ordine. Due anni fa tra aprile e agosto i tre episodi che poi nel mese di settembre hanno portato il management della nota società per azioni a intraprendere iniziative interne. Il responsabile del negozio è stato trasferito in un’altra sede della Lucchesia, perché sposato e con figli, il vice responsabile, single, è stato invece trasferito in Lombardia e il terzo, il più giovane, è stato trasferito ad altra sede regionale.

I tre provvedimenti sono stati adottati per incompatibilità ambientale, a detta dei vertici societari, e il giudice gli ha dato ragione. Il responsabile aveva mantenuto le mansioni ma da questo provvedimento ha iniziato a soffrire di una grave forma depressiva e ansiosa e lo scorso anno ha subito anche il licenziamento per quello che viene definito tecnicamente “il superamento del periodo di comporto”. In pratica si tratta di un arco temporale durante il quale il dipendente, assente per malattia o infortunio, ha il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Decorso tale periodo, previsto dalla legge, dagli usi o secondo equità, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto.

Il responsabile ha impugnato in tribunale a Lucca il provvedimento di trasferimento ma il giudice lo ha rigettato. Si legge infatti nella sentenza di primo grado a firma del giudice Alfonsina Manfredini del tribunale cittadino: “In ultimo va rigettata la domanda volta a far accertare la ritorsività del trasferimento posto che il trasferimento ha avuto la sua causa nella situazione di incompatibilità ambientale e di disfunzione organizzativa – comprovate – situazioni che concretizzano un’oggettiva esigenza di modifica del luogo della prestazione. Si è quindi trattato di una scelta aziendale non censurabile e, anzi, ragionevole e attenta anche alle esigenze della lavoratrice e, al contempo, idonea a garantire la piena funzionalità del negozio ove, come l’azienda riferisce (ma non vi sono contestazioni in proposito), non si sono più determinati ammanchi di denaro”. Il tribunale ha anche condannato l’ex dipendente a circa 3mila euro di spese di lite.

Il ricorrente aveva lamentato un non corretto comportamento dell’azienda nei suoi confronti in quanto non aveva soddisfatto le richieste di strumenti di protezione e controllo avanzate e a suo dire atte proprio a evitare il verificarsi dei furti. Il 27 aprile del 2019 si era registrato un primo ammanco di cassa di 2103 euro corrispondente all’incasso di una delle casse del negozio. Il 17 giugno dello stesso anno l’agenzia portavalori aveva riscontrato un ammanco di alcune migliaia di euro rispetto al versamento del 12 giugno, avente ad oggetto una busta sigillata e il 18 giugno la tesoreria aziendale aveva comunicato al punto vendita di questa differenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato.

Il 19 agosto si era registrato l’ultimo ammanco di 1.650 euro: in questo caso l’importo risultava mancare addirittura dal fondo della cassaforte a cui potevano accedere solo i responsabili del negozio e, nonostante gli accertamenti svolti il denaro non è stato mai rinvenuto. A questo punto la società aveva deciso di trasferire tutti i “sospettati” in altri punti vendita conservando loro mansioni e livello di inquadramento, in attesa di approfondimenti investigativi interni ed esterni. Accertamenti che al momento non hanno portato al rinvenimento dei soldi e del responsabile. Ma le verifiche proseguono.

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