Frattura la caviglia a un avversario durante una gara di calcetto: dovrà risponderne in tribunale

Per il 32enne della Valle del Serchio è intervenuta la prescrizione in sede penale, ma per i giudici della Cassazione si è andati oltre l'"accettazione del rischio" in ambito sportivo

Violenza nel calcio, sentenza della Cassazione su un caso lucchese destinata a fare giurisprudenza. Durante una partita ufficiale di un torneo di calcio a 5 un tackle in scivolata nei confronti di un avversario provoca la frattura della caviglia del giocatore e, nella rovinosa caduta, anche la frattura della clavicola e di un osso dell’avambraccio, con oltre sessanta giorni di prognosi.

Un’azione di gioco violenta e soprattutto non consentita nel calcio a 5 che porterà un 32enne della Valle del Serchio a subire un processo penale, al di là della volontarietà o meno di fare del male al suo avversario. Originariamente il ragazzo era stato incriminato per lesioni volontarie aggravate ma successivamente era stato poi processato e condannato per lesioni personali colpose, sia dal tribunale di Lucca sia dalla Corte d’Appello di Firenze.

La “vittima” si era costituita parte civile chiedendo anche i danni. Ora la suprema corte di Cassazione dichiarando prescritto il reato ha rinviato al giudice civile lucchese per la quantificazione del risarcimento e delle spese legali. Ma gli ermellini sono andati anche oltre chiarendo alcuni aspetti della vicenda e di vicende simili. In Italia, infatti, dopo la famosa testata a Materazzi da parte di Zidane, la Cassazione ha orientato in maniera più ampia in diverse sentenze i comportamenti dei giudici in merito a controversie simili sia penali sia civili. Al centro della questione in tutte le cause che nascono da eventi sportivi c’è la cosiddetta “accettazione del rischio” che ovviamente consente una certa libertà di azione riguardante episodi che nella vita comune rappresenterebbero sempre e comunque illeciti giudiziari.

Nello sport esistono possibilità di contatto tra atleti che possono portare anche a lesioni e danni fisici anche di non poco conto. Ma il punto è esattamente questo. Al di là dell’entità del danno, chiariscono i giudici di piazza Cavour, si configura un illecito proprio quando l’atleta vìola e va oltre le regole dello sport praticato. Quindi in un incontro di boxe è più che legittimo sferrare pugni ma se ad esempio un pugno colpisse l’avversario al di sotto della cintura, circostanza proibita dal regolamento, rientrerebbe in un illecito penalmente e civilmente perseguibili. Il tackle in scivolata non è consentito dalle regole del calcio a 5, a prescindere.

Si legge chiaramente in sentenza: “Con questa precisazione si è fissato un primo approdo, ovverosia che nello sport che preveda il contatto fra atleti ciò che il regolamento consente, ancorché produca un danno, è lecito sportivo, perché non esorbitando dalle regole previste dalla disciplina deve ritenersi accettato da coloro che la praticano, nel momento stesso in cui ne accettano le norme tecniche, siano esse relative all’attività agonistica o dilettantisca o amatoriale, a seconda dei livelli in cui si svolge l’agone e delle disposizioni eventualmente diverse che lo regolano. Diverso è il problema quando, invece, la lesione all’incolumità personale sia cagionata dalla violazione della regola sportiva, perché è proprio in relazione al superamento del limite regolamentare che la giurisprudenza si interroga sul confine fra l’illecito sportivo e l’illecito penale”.

Poi gli ermellini chiariscono anche quando si tratta di illeciti colposi e quando invece si tratta di illeciti dolosi. “Il dolo ricorre quando la circostanza di gioco è solo l’occasione dell’azione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica (per ragioni estranee alla gara o per pregressi risentimenti personali o per ragioni di rivalsa, ritorsione o reazione a falli precedentemente subiti, in una logica dunque punitiva o da contrappasso). Quando, invece, la violazione delle regole avvenga nel corso di un’ordinaria situazione di gioco, il fatto avrà natura colposa, in quanto la violazione consapevole è finalizzata non ad arrecare pregiudizi fisici all’avversario, ma al conseguimento – in forma illecita, e dunque antisportiva – di un determinato obiettivo agonistico, salva, ovviamente, la verifica in concreto che lo svolgimento di un’azione di gioco, non sia stato altro che mero pretesto per arrecare, volontariamente, danni all’avversario”.

La sentenza penale in questo caso, dopo le precisazioni fatte, è stata annullata per sopravvenuta prescrizione ma rinviata al giudice civile di Lucca per il risarcimento dei danni e per le spese legali e processuali. Il processo continuerà quindi nelle aule del tribunale cittadino ma solo in sede civile.

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