Molestava la cameriera: ex datore di lavoro dovrà risarcirla di 40mila euro

La donna aveva dovuto presentare le sue dimissioni per la situazione ormai divenuta insostenibile

Continue e ripetute molestie sessuali, e non solo: una giovane cameriera di una pizzeria è stata costretta a dimettersi per evitare il peggio. L’ex datore di lavoro, però, è stato condannato a risarcirla con 40mila euro.

La situazione che si era venuta a creare sul luogo di lavoro era ormai insostenibile e pericolosa, ennesimo episodio di vessazione di una donna da parte del suo capo. Molestie sessuali e mobbing, con frasi ingiuriose, sconce, e minacce: una dipendente di una pizzeria dell’alta Versilia è stata costretta a dimettersi mentre l’ex datore di lavoro è stato condannato a risarcirla con circa 40mila euro. La donna era stata assunta dal titolare della pizzeria nel 2014 ma nel 2018 si era dimessa perché non ne poteva più.

Parallelamente alle eventuali questioni penali ancora da definire ora è arrivata la sentenza civile sul risarcimento dei danni subiti per via delle dimissioni per giusta causa che la donna aveva dovuto presentare per la situazione ormai divenuta insostenibile. Nelle scorse settimane la giudice del tribunale di Lucca, Alfonsina Manfredini, ha pubblicato la sentenza di condanna nei confronti del titolare della pizzeria con le relative motivazioni. Il quadro che è emerso in giudizio è oltremodo inquietante e particolarmente scabroso per tutta una serie di comportamenti e frasi che passate al vaglio delle verifiche si sono dimostrate veritiere e ricalcano un mai cessato cliché di vessazioni anche a sfondo sessuale da parte di uomini nei confronti di donne sul luogo di lavoro specie quando queste ultime sono dipendenti.

L’uomo è stato condannato anche a circa 5mila euro di spese legali. La donna in sede di giudizio aveva sostenuto  che il datore di lavoro aveva assunto nei suoi confronti un atteggiamento molesto e offensivo consistito in frasi ingiuriose, quali, a titolo esemplificativo, “se ti piglio ti rovescio”, “mi ti farei volentieri”, “mi hai fatto eccitare”, “mi piacerebbe sapere cosa hai tra le gambe”, “tromba di meno invece di sentirti male”, “hai vita breve”, “io faccio le mie ricerche”, “non sai chi sono io, non sai le persone che conosco io… non ho paura neanche a far toccare i figli”, come agli atti del processo di primo grado terminato nei giorni scorsi.

La vittima di questi atteggiamenti a dir poco aberranti aveva esposto anche di altri comportamenti inopportuni e molesti posti in essere dal datore di lavoro, ossia palpeggiamenti di varie parti del corpo sul luogo di lavoro, anche alla presenza di altri dipendenti. Tali atteggiamenti, a detta della lavoratrice, avevano assunto maggiore frequenza dopo il gennaio 2017, quando si era rifiutata di sottoscrivere il verbale conciliativo proposto dal titolare della pizzeria. “Le risultanze istruttorie confortano la tesi della ricorrente”. Solo sulle ripercussioni sulla sua salute relative al mobbing non sono state avallate in primo grado di giudizio per la scarsezza della documentazione medica prodotta in aula ma la donna potrà far valere queste ulteriori richieste di risarcimento danni eventualmente in appello. Sulla situazione insostenibile invece e motivo del licenziamento per giusta causa nessun dubbio. Alcuni testimoni, infatti, hanno corroborato la tesi della donna divenuta una vittima del suo datore di lavoro che si sarebbe accanito ancor di più quando si era rifiutata di sottoscrivere un accordo.

Si legge infatti in sentenza: “I testimoni hanno altresì assistito ad atteggiamenti inopportuni e molesti tenuti dall’uomo sul luogo di lavoro, addirittura anche palpeggiamenti di parti del corpo della ricorrente. Hanno confermato che il datore di lavoro, al fine di persuadere e convincere la donna a firmare l’accordo conciliativo, e che le aveva proferito espressioni come “firma questo foglio”, “non conti nulla”, “se continui così duri poco”, e venuto a conoscenza di un rapporto affettivo tra la su dipendente e un carabinieri aveva alzato il tiro con altre frasi del tipo: “hai vita breve”, “io faccio le mie ricerche”, “non sai chi sono io, non sai le persone che conosco io, non ho paura neanche a far toccare i figli”. Inevitabile la condanna dell’uomo al risarcimento in attesa degli sviluppi penali della vicenda.

Ogni tipo di commento su questa vicenda e tutte le altre, sempre troppe, di questo genere sarebbe completamente superfluo. I fatti si commentano da soli.

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