Truffatori violenti nelle stazioni di servizio: condanna definitiva per due lucchesi

Dal 'gioco delle tre carte' a vere e proprie aggressioni a scopo di rapina: un 52enne e la complice di 42 anni ritenuti responsabili anche dalla Cassazione

Truffatori e violenti, condanne definitive per due lucchesi.

Il blitz delle forze dell’ordine bolognesi e lucchesi era scattato nel 2016 quando la procura di Bologna, aveva ordinato l’arresto di 13 persone, una banda vera e propria specializzata nelle truffe del vecchio “gioco delle campanelle”, o “delle tre carte” negli autogrill emiliani e toscani. Tra questi anche due cittadini lucchesi, un uomo e una donna rispettivamente di 52 e 42 anni, ritenuti ai vertici del sodalizio criminale che riusciva a portare a casa fino a 100mila euro al mese.

Ma non si trattava solo di truffatori, questa banda era anche molto violenta. Per i due lucchesi il procedimento giudiziario è giunto al capolinea, la suprema corte di Cassazione li ha infatti condannati in via definitiva: l’uomo è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione, 15mila euro di multa e 3mila euro di spese processuali, per rapina aggravata, lesioni aggravate, furto con strappo, in concorso con gli altri coimputati.

Il fenomeno, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, andava avanti da anni, con almeno 150 persone che hanno fatto denuncia, anche se le vittime sarebbero molte di più. Ogni componente della banda, composta in gran parte da campani, aveva un ruolo: dall’adescatore al sedicente funzionario di banca che fingeva di mettere in guardia sulla truffa, fino alla ‘vedetta’ che da un cavalcavia lontano alcuni chilometri monitorava l’eventuale arrivo di pattuglie della Polstrada. Tra le vittime, per lo più anziani, c’erano anche stranieri o italiani residenti all’estero che tornavano per le vacanze con parecchio contante in tasca: uno di questi è stato derubato di 11mila euro.

In molti casi, quello che veniva presentato come un gioco era nella migliore delle ipotesi una truffa, che a volte degenerava in estorsioni o rapine vere e proprie. In alcuni casi, durante i raggiri le vittime venivano intimorite al punto da essere indotte a prelevare contante al bancomat dell’area di servizio per saldare i presunti debiti di gioco.  Gli investigatori hanno inoltre ricostruito che, se uno dei componenti dell’organizzazione mancava da una delle trasferte per qualche giustificato motivo (un lutto o un arresto), lui o la sua famiglia percepiva comunque la parte di guadagno che gli sarebbe spettata, secondo un sistema tipico delle associazioni criminali più strutturate.

Si legge infatti nella sentenza della Cassazione pubblicata ieri (11 agosto): “Il 52enne lucchese è stato, in particolare, riconosciuto come il soggetto che ha sferrato a una vittima il pugno che gli ha cagionato le lesioni refertate (e proprio per questo si capisce il perché del riconoscimento certo operato dalla predetta mentre l’altra vittima non era vicinissima), e mentre anche i correi, compresa la donna lucchese di 42 anni, variamente lo picchiavano, come riferito dall’altra vittima; le parti offese hanno riferito in termini incensurabilmente ritenuti attendibili dalla corte di Appello di non aver partecipato al gioco, e quindi di non avere perso; l’aggressione nei confronti di una delle tante vittime, che cercava di recuperare il denaro sottratto al padre, evidenzia logicamente la consapevolezza di quest’ultimo della precedente sottrazione e la necessità di attivarsi per conservare la disponibilità di quanto sottratto”.

I ricorsi, tranne che per un capo d’imputazione prescritto, sono stati dichiarati inammissibili dai giudici di Piazza Cavour. Il caso giudiziario per i due imputati di Lucca è definitivamente chiuso.

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