Aste pilotate, le intercettazioni inchiodano il giudice

Aste pilotate, emergono nuovi dettagli dall’inchiesta che ha portato in carcere il giudice Roberto Bufo, ex assessore del Comune di Vergemoli e ai domiciliari Virgilio Luvisotti, numero uno dell’istituto vendite giudiziarie di Lucca (Leggi). Agli atti dell’indagine ci sarebbe anche una intercettazione che secondo gli inquirenti della procura di Genova proverebbe la presunta spartizione dei proventi illeciti dal reato della turbativa d’asta. “Qua bisogna rubare il più possibile”.

Intanto, il Pg della Cassazione Riccardo Fuzio ha chiesto alla Sezione disciplinare del Csm di sospendere dalle funzioni e dallo stipendio il giudic Bufo, arrestato ieri con l”accusa di far parte di un sodalizio criminoso che   pilotava le aste al tribunale della città toscana. La sospensione costituisce un atto dovuto tutte le volte che un magistrato viene sottoposto a misure cautelari.
La procura di Massa Carrara stava già indagando, per reati contro il patrimonio, su Roberto Ferrandi (il commercialista di Carrara agli arresti per turbativa d’asta e corruzione) quando, a dicembre 2015, nel suo studio professionale arrivò il giudice Roberto Bufo, (anche lui finito nell’inchiesta della procura di Genova e arrestato ieri dai carabinieri) per consegnargli una mazzetta di denaro. La scena fu ripresa da una micro telecamera che gli investigatori avevano piazzato nello studio del Ferrandi e la conversazione registrata da una cimice.
“La somma – ha detto il sostituto procuratore di Massa Alberto Dello Iacono, titolare del filone d’inchiesta rimasto in Toscana – servì a saldare un precedente favore. Grazie a Ferrandi, infatti, Bufo si aggiudicò la proprietà di un edificio residenziale a Villafranca in Lunigiana, finito all’asta, corrispondendo 23 mila euro, a fronte di una stima di 84 mila, per poi rivenderlo a circa 58 mila euro. La mazzetta fu la ricompensa per l”intermediazione portata a termine”.
La procura di Massa pensò si trattasse di un semplice caso di corruzione, ma un mese dopo Bufo e Ferrandi si incontrarono ancora e il giudice si organizzò col commercialista delegato alle vendite giudiziarie al tribunale civile di Massa, per continuare a “fare mercimonio delle proprie funzioni di magistrato di Pisa”. Per questo gli atti passarono alla procura di Genova, competente riguardo fatti riguardanti un magistrato del distretto della corte d’appello di Firenze, e l’inchiesta si divise in due filoni.

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