Detenuto muore in cella, disposta autopsia

Protesta e tensioni nel carcere di Lucca per il decesso, avvenuto (26 dicembre) mercoledì all’ora di pranzo a causa di un malore, di un detenuto di 55 anni, Massimo Tamagnini, di origini garfagnine. A far emergere la vicenda è stato il sindacato Osapp.
Secondo quanto spiegato in una nota, in seguito alla morte del cinquantenne, i detenuti “della terza sezione hanno iniziato ad inveire e a sbattere pentolame sulle inferriate mentre all’interno della stessa sezione avevano luogo alcune colluttazioni tra gli stessi ristretti e per le quali alcuni sono dovuti ricorrere a cure mediche”.

“Nell’indicare alle autorità politiche e del Dap – commenta il segretario generale di Osapp Leo Beneduci – come drammaticamente vicino il punto di non ritorno verso l’assoluto disastro del sistema penitenziario italiano, rinnoviamo l’invito al governo e ai ministri Bonafede e Salvini per l’apertura di ogni spazio di analisi e confronto con le rappresentanze del personale di polizia penitenziaria necessario per affrontare con la massima urgenza l’insostenibile condizione del lavoro nelle carceri italiane da parte degli appartenenti alla polizia penitenziaria”.
La magistratura comunque vuole vederci chiaro e il pm Antonio Mariotti ha deciso di aprire un fascicolo d’inchiesta e ha disposto anche l’autopsia sul corpo del detenuto che ha perso la vita. La causa della morte sarebbe riconducibile ad una emorragia cerebrale che ha ucciso sul colpo l’uomo, detenuto da circa un anno e mezzo e che aveva richiestro, tramite i propri legali, la scarcerazione proprio per motivi di salute. Gli inquirenti vogliono chiarire e capire bene sia le cause precise della morte, sia il contesto della tragedia al San Giorgio. Nei prossimi giorni se ne saprà di più, in attesa dei risultati degli esami autoptici.
Donato Capece del Sappe chiede, dal conto suo, al ministro e al capo dipartimento di ripristinare la vigilanza statica dei detenuti e abolire la vigilanza dinamica attuale che da qualche anno è stata istituita nelle case circondariali per le troppe sentenze di condanna. La Cassazione, infatti, recependo le direttive Ue stava accogliendo man mano i vari ricorsi dei detenuti che lamentavano spazi inferiori alle normative ottenendo risarcimenti. Per ovviare a questo problema le sezioni delle case circondariali sono state “aperte” cioè le celle hanno le porte aperte e sono chiuse sono le differenti sezioni. Questo consente margini di spostamenti maggiori per i detenuti che hanno quindi più spazio a disposizione. “Di fatto quindi – afferma Capece del Sappe – le case circondariali sono quasi in mano ai detenuti e per loro è più facile attivare rivolte e disordini prorpio per la maggiore “libertà” di cui godono. La sicurezza è quindi diminuita per chi opera all’interno del carcere. Capiamo e comprendiamo i problemi economici alla base di questo provvedimento ma non può essere questa la soluzione, non è questa la strada da seguire”.
Quello raccontato, peraltro, non sarebbe, l’unico episodio di proteste fra le mura del carcere. “Nella prima mattinata di ieri (27 dicembre) – spiega Capece – un detenuto italiano ha gettato del caffè verso un detenuto tunisino, il quale poi è stato aggredito fisicamente per le scale della Terza sezione. Lo straniero è stato inviato all’ospedale cittadino facendo poi rientro in carcere verso le 15. Era prevedibile che vi fosse una rivalsa, e infatti verso le 13,15 nei cortili della terza sezione, un detenuto tunisino ha cercato prima di aggredire con dei pugni tre italiani poi ha divelto la porta di calcio e armatosi di un ferro della porta (in ferro, della porta di calcetto) ha cercato di colpire gli stessi. Prontamente gli agenti della polizia penitenziaria sono intervenuti evitando il peggio. Gli eventi critici violenti ormai sono quotidiani e ricadono oltre che sugli stessi detenuti anche e soprattutto sulle donne ed uomini in divisa della polizia penitenziaria”.

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