Docufilm e premi nazionali, successi per Flavia Piccinni

Dalla scrittura creativa al giornalismo d’inchiesta, passando da decine di altri progetti realizzati o in cantiere. Flavia Piccinni, scrittrice 32enne tarantina ma ormai lucchese di adozione, sta vivendo una stagione di successi in serie. Che culmina oggi con un doppio evento: l’apertura della sezione Alice nella città della Festa del cinema di Roma con il documentario Bellissime, tratto da un suo lavoro e la consegna del premio Fiumicino per Nella Setta, inchiesta realizzata assieme al compagno Carmine Gazzanni.

Il tuo giornalismo di inchiesta sta riscuotendo un grande successo: prima Bellissime, poi Nella Setta oltre al plauso dei lettori hanno aperto un dibattito a livello nazionale. Te lo aspettavi?
Francamente no. Ho provato solo a scrivere qualcosa che mi interessasse. L’obiettivo principale era accendere una luce su due mondi opposti eppure, come tutti i circoli chiusi, con diverse assonanze.
Oggi il documentario nato dal tuo lavoro sulle modelle bambine apre la rassegna Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma. Ci spieghi come si è arrivati dal libro a questa trasposizione sul grande schermo?
Dopo l’uscita del libro, ho girato un minidoc da Pitti Bimbo che è andato in onda su Repubblica. Incuriositi dalle storie che avevo raccontato, Fandango e Timvision mi hanno chiesto di mettermi a lavoro su un progetto che partisse da Bellissime: ho lavorato con Antonella Gaeta, e poi ci hanno presentato la regista Elisa Amoruso che è recentemente stata a Venezia con il documentario Chiara Ferragni Unposted. Se con il libro però avevo raccontato dell’infanzia, della stereotipizzazione di cui sono vittime i baby modelli e sui danni che gli stereotipi creano, questa volta volevo fare un passo in più e andare a raccontare qualcosa di diverso.
C’è stato qualcosa nella lavorazione del documentario che ha aggiunto qualche elemento a quanto avevi già raccolto nel tuo lavoro per la ricerca? O c’è qualcosa che è in qualche modo non rappresentabile nel docufilm?
Volevo capire che cosa succede a una baby modella quando diventa grande. E così con Antonella prima, con Elisa poi, abbiamo incontrato Giovanna Goglino, la baby modella più famosa d’Italia e forse del mondo negli anni Novanta, e le sue due sorelle. Ma, soprattutto, la madre Cristina Cattoni: una donna incredibile, dalla volontà ferrea, che nonostante i cinque figli ha un fisico da ventenne, ha vinto svariati concorsi di bellezza come Miss Over, si allena ogni giorno e in salotto ha un palo da pole dance. Nel film seguiamo le loro quattro storie, la vita di tutti i giorni, le ambizioni televisive e cinematografiche, il confronto con il tempo, con la propria bellezza e con quella delle altre ai tempi di Instagram. Ne esce fuori un viaggio nelle speranze e nelle frustrazioni.
Anche Nella Setta potrebbe avere una trasposizione in una produzione per cinema e tv?
L’anno scorso Fandango ha acquisito i diritti e ci siamo messi al lavoro con Antonella Gaeta, che considero una delle migliori sceneggiatrici in Italia, per dare forma alle storie che negli anni di lavoro abbiamo raccolto per un importante network internazionale. Stiamo anche lavorando a una trasposizione teatrale con il teatro del Giglio, che ci auguriamo debutti fra la primavera e l’autunno, e che vedrà come protagonista Marco Brinzi.
Nella Setta, insieme a Carmine Gazzanni, sta ricevendo una serie di premi a livello nazionale. Quali sono gli ultimi?
Il Premio Mattarella Giornalismo, il Premio Como Inchiesta e oggi ci consegneranno il Premio Fiumicino Legalità. Sono felice per i riconoscimenti, certo, ma penso anche che lo sarei di più, molto di più, se qualcosa accadesse al di là del libro. Purtroppo in Italia quattro milioni di persone appartengono a un’organizzazione settaria e nel momento in cui decidono di uscire non sanno cosa fare perché, eccetto un paio di associazioni, nessuno si occupa di chi ha avuto la propria vita distrutta da una setta. Il problema è che, dopo vent’anni, trent’anni, una vita dentro un’organizzazione fuori non ti aspetta nessuno: né gli amici, né la famiglia, né il lavoro. E da soli, senza aiuti, è difficile se non impossibile salvarsi.
Con le tue ultime produzioni, che fanno seguito a romanzi di successo, hai inaugurato un nuovo stile e un nuovo metodo nella tua scrittura. Cosa hai in cantiere per i prossimi mesi e anni?
Intanto da qualche settimana sono tornata stabilmente a vivere a Lucca, e con me si è trasferito anche Carmine. Questa è, certamente, la cosa più significativa perché scegliere un luogo in cui si sta bene e fondamentale. Dal punto di vista lavorativo, sempre con Carmine stiamo lavorando a un nuovo libro che uscirà in primavera con Fandango su uno dei casi di cronaca più inquietanti del nostro paese. È un lavoro totalizzante, scandito dalle ore di ascolto delle registrazioni e da incontri che ci hanno lasciato senza parole. Ma, per ora, di più non posso dire. In queste settimnane sto portando avanti anche un podcast tutto mio e ho quasi ultimato la traduzione di un libro meraviglioso di Robert Nathan, che uscirà a fine novembre per Atlantide Edizione.
Svelaci un desiderio che non hai ancora realizzato in ambito professionale.
Mi piacerebbe dare voce a una storia ambientata a Gorgona, l’isola carcere dove da anni vado come volontaria a insegnare scrittura creativa. È molto tempo che ci lavoro, e spero che presto diventerà realtà.

Enrico Pace

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