Commenti offensivi sui social, serve un patto collettivo per la comunicazione non ostile

Nessuna riflessione possibile se a dominare è lo hate speech. E i social rendano possibile di impedire il dibattito su alcuni post

Non è una novità purtroppo. Che i commenti sui social, in particolare sulla pagina di Lucca in Diretta, di gran lunga la pagina di informazione più seguita di tutta la provincia (oltre 60mila seguaci), siano sempre più spesso sgradevoli, offensivi, provocatori, imbarazzanti (per chi li posta e per chi li riceve).

Una deriva, quella dello hate speech, che viene da lontano e che è stata progressivamente facilitata dall’abuso di profili falsi, dalla farraginosità delle procedure per individuare eventuali responsabili di reati commessi via web, dall’impossibilità, oltre alla moderazione automatica per parole chiave, di controllare ogni secondo una quantità di commenti, specie su certi temi, davvero troppo numerosi,

A nulla serve il richiamo a utilizzare un linguaggio educato e consono, a nulla neanche l’inserimento, nella moderazione dei contenuti, di parole chiave che nascondano automaticamente i commenti offensivi. Non serve neanche bloccare i profili fake di coloro che producono contenuti offensivi in serie, perché ne nascono immediatamente altri, praticamente identici, che proseguono nella loro attività di troll.

Più volte, anche in passato, ci siamo chiesti: che fare? Una prima proposta, risultata praticamente inattuabile, è quella di cercare di parificare con contenuti positivi l’incidenza di quelli degli odiatori. Commentare le notizie positivamente in qualche modo contribuirebbe ad edulcorare la serie di commenti ricchi di odio e di offese, con l’obiettivo possibile di diminuirne l’effetto. Ma, si sa, la motivazione di chi vuole offendere, disturbare, provocare, è sempre maggiore di chi vuole inserire un elemento positivo in una discussione.

Un’altra possibile soluzione, stavolta tecnica, ma che certificherebbe in qualche modo la sconfitta del ‘sistema’ è quella di inserire anche sulle pagine, così come sui profili privati, la possibilità di bloccare i commenti ai post: così si potrebbe impedire di commentare notizie che già in anticipo è noto possano essere foriere di commenti negativi (in particolare su temi di politica o particolarmente divisivi).

Detto questo il ‘caso Del Greco’, l’ennesimo dei tanti precedenti e, putroppo, quotidiani, ha per l’ennesima volta sollevato un problema che pare principalmente culturale. Che non riguarda una parte politica e non riguarda un genere (anche se i commenti sessisti risultano sempre particolarmente odiosi). Merita, non certo per fare una difesa di categoria, vedere la quantità di offese che noi giornalisti ogni giorno leggiamo nei commenti. O le polemiche, anch’esse particolarmente offensive, per la (nostra) scelta redazionale di utilizzare un linguaggio di genere per identificare il femminile.

Ma ormai non si salva nulla, dalla maggioranza all’opposizione, dall’articolo apparentemente innocuo come il messaggio di auguri dei familiari al proprio figlio all’approfondimento di cronaca o di politica.

Che fare, dunque? Un ulteriore passaggio potrebbe essere quello di aderire, come enti pubblici, partiti e anche come privati, al manifesto della comunicazione non ostile. Un decalogo da tenere in considerazione ogni volta che si vuole esprimere un pensiero, in ogni contesto e particolarmente nel pubblico.

Speranze che cambi qualcosa? Poche, nel regno dei tweet e del ragionamento condensato in un balletto o in pochi caratteri. Ma vale la pena, almeno, provare a ragionarci su.

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