Susanna Egri a Lucca per il docufilm su Erbstein foto

La storia di Ernst Erbstein, allenatore di quella Lucchese che negli anni Trenta in soli 3 anni passò dalla serie C alla serie A, ha riempito ieri sera (30 gennaio) la sala del cinema Astra. A raccontarla nel videodocumentario L’allenatore errante sono stati i ragazzi delle classi terze della secondaria di Camigliano, in un progetto didattico ideato da Luciano Luciani, Pier Dario Marzi ed Emmanuel Pesi. Cinquanta minuti in cui sono state ripercorse le vittorie della squadra nella stagione 1936/1937 – prima che l’emanazione delle leggi razziali, nel 1938, costringesse l’allenatore, di origine ebraica, a una vita clandestina e precaria.

Episodi raccontati ai ragazzi dal professor Luciani, intervistato dagli studenti-giornalisti nell’attuale sala stampa della Lucchese, e dalla viva voce di Susanna Egri, 92 anni, figlia di Erbstein che all’epoca frequentava con profitto il ginnasio del liceo classico Machiavelli – dal quale venne allontanata. Per la serata-evento di ieri, inserita nel programma del cineforum Ezechiele e patrocinata da Provincia e Comune di Lucca per i giorni della memoria, Susanna Egri è voluta essere presente: “Mio padre mi ha dato la forza dei valori. Siamo stati educati secondo principi etici e non confessionali – ha ricordato – e l’eredità più forte che abbiamo ricevuto è la convinzione che il bene, alla fine, avrebbe avuto la meglio sul male. Anche quando siamo dovuti fuggire da Lucca, quando né a Torino, né a Rotterdam, né a Budapest siamo stati al sicuro dalla folle persecuzione nazista, in mio padre non ho mai percepito rabbia. Era un uomo saldo nella sua moralità – continua Egri – e io, anche durante la guerra, non ho mai avuto paura perché sapevo che finché ci sarebbe stato mio padre non mi sarebbe accaduto niente di male. Aveva una luce speciale: è stato lui a fare la differenza per la Lucchese prima e per il ‘grande Torino’ dopo. Sapeva trasmettere la sua energia ai giocatori, creare unità di anime. Mio padre era un umanista, un filosofo, un uomo giusto: per questo è stato un grande allenatore. È nel suo nome – conclude Susanna Egri, che ha dedicato la vita alla danza e al suo insegnamento – che mi occupo ancora di giovani, perché non imparino solo a danzare bene ma sappiano essere anzitutto umani. Ho fatto del mio meglio per meritare di essere sopravvissuta”. Erbstein è cognome prussiano, di ascendenza nobiliare. In ungherese suona chiara l’origine tedesca, così la famiglia dell’allenatore che morì a Superga con la squadra che stava facendo sognare l’Italia del secondo dopoguerra decise di cambiarlo in Egri – scelto perché suona italiano e in ungherese significa ‘della città di Eger’.
Il docufilm, che parteciperà al Sottodiciotto Film Festival di Torino, ha tolto la polvere dalla foto in bianco e nero di quella Lucchese che si classificò settima in quel campionato degli anni Trenta – è questo il risultato migliore che i rossoneri hanno raggiunto nel corso della loro storia – e ha restituito personalità ai volti di quella stagione. Tra loro Bruno Neri, di Faenza, che come poteva trovare una scusa per non fare il saluto fascista la coglieva al volo; intellettuale e frequentatore del Caffé delle Giubbe Rosse a Firenze, dopo l’8 settembre diventa partigiano. Aldo Olivieri, portiere, che sarà campione del mondo nel 1938, soprannominato ‘gatto magico’ per la sua agilità e bassa statura; molto amico di Erbstein, tanto che chiamerà anche lui la figlia Susanna. Bruno Scher, una roccia di difensore, che non venne mai chiamato in nazionale perché di fede comunista e con cognome di origine istriana: quando gli proposero di cambiarlo in Schere, appese le scarpe al chiodo. E ancora Antonio Perduca, uno dei giocatori più pagati da Della Santina: ben 35mila lire di ingaggio, con i quali si comprò un’auto Aprilia, una delle prime che circolarono a Lucca. Il bomber Elpidio Coppa, che durante i ritiri scappava per andare nelle balere – e per questo mister Erbstein, si racconta, lo prese più volte a calci. E infine Libero Marchini, anarchico di famiglia e di convinzioni, che alle Olimpiadi di Berlino del 1936 si fece fotografare col ‘figlio del vento’ Jesse Owens – l’atleta di colore che vinse nei cento metri dimostrando l’incosistenza delle teorie naziste sulla superiorità fisica della razza ariana. Le storie di questi uomini sono conservate nel museo della Lucchese curato dall’associazione Lucca United che volentieri ha collaborato alla realizzazione del docufilm con i ragazzi di Camigliano. Hanno partecipato alla serata anche Andrea Canta, addetto stampa del Torino calcio, e Paolo Pupillo, responsabile della comunicazione per il museo del Grande Torino. Hanno infine portato i saluti delle istituzioni il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini, il consigliere provinciale Lucio Pagliaro e l’ex assessore di Capannori Lara Pizza.

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