Lucca e quei banchi lasciati vuoti dai bimbi ebrei

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La pagella cucita dentro le tasche per mostrare al nuovo mondo quanto era bravo, sperando di trovare nel nostro Paese qualcuno che lo accogliesse da principino quale era, che lo ripagasse di tutti i sacrifici sudati sui libri, comprati con chissà quanti debiti dalla famiglia. Sogni e speranze che adesso giacciono in fondo al mare insieme ad altre migliaia di storie simili. Altre tasche, altri piccoli ma immensi tesori.  Sono strazianti le immagini e le parole che nelle ultime settimane stanno facendo il giro del web dopo un documentario sui migranti trasmesso dalla Rai. Immagini e parole forti che in qualche modo riportano alla memoria molti altri bambini, creaturine che, nonostante abbiano avuto un destino diverso – e nemmeno troppo – non sono più potuti andare a scuola. Oggi (27 gennaio) in occasione del Giorno della Memoria ricordiamo anche quelle decine di piccoli studenti e insegnanti della Provincia di Lucca che, dopo le leggi razziali fasciste istituite in Italia nel 1938, hanno dovuto lasciare la propria classe con un’unica colpa: essere ebrei. 

Banchi vuoti, classi che improvvisamente si sono ritrovate senza insegnanti. Come si può spiegare a un bambino che non può più andare a scuola? Come si fa a spiegare a un bambino, e anche agli adulti, che un giorno si è persone e quello dopo non lo si è più? A Lucca furono una ventina coloro a cui si dovette dare queste risposte. Più di 700 docenti in tutta Italia, migliaia di bambini che non hanno potuto continuare a studiare.
Le leggi razziali, che nel 2018 hanno compiuto ottant’anni, quella mattina del 5 settembre del 1938 – annunciate da Benito Mussolini a Trieste il 18 settembre – furono un fulmine in un cielo già grigio da tempo. Le prime pagine di tutti i giornali non parlavano d’altro. “Provvedimenti in difesa della razza”, si leggeva su molti. E quei ragazzi dovettero uscire da scuola nel più assordante dei silenzi, espulsi come se avessero commesso il più grave dei danni. Quei provvedimenti furono il primo decreto della politica razziale italiana e interessarono anche le università.
“All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative – recitava l’articolo 1 – non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all’assistentato universitario, né al conseguimento dell’abilitazione alla libera docenza”.
“Alle scuole di qualsiasi ordine e grado – continuava l’articolo 2 – non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica”. E ancora: “A datare dal 16 ottobre 1938 – si leggeva nell’articolo 3 – tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole saranno sospesi dal servizio”.
“E’ considerato di razza ebraica – specificava l’articolo 6 del nuovo decreto – colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica”.
Poi nulla, il silenzio. Silenzio che ben presto si trasformò in treni diretti in Polonia e in Germania. Biglietti di sola andata per milioni di persone, e non solo di “razza” ebraica. Il decreto della vergogna.
“La scuola – spiega la storica Silvia Quintilia Angelini, curatrice della mostra Il banco vuoto che si terrà fino al 29 gennaio al liceo Carducci di Viareggio grazie all’Istituto storico della resistenza di Lucca – fu il primo settore a sperimentare l’antisemitismo di stato e l’inizio dell’anno scolastico 1938-1939 fu segnato dalla espulsione dalla scuola degli insegnanti ebrei e dal rifiuto dell’iscrizione per alunni ebrei, sia che già frequentassero le scuole, sia che si affacciassero alla prima esperienza scolastica. In provincia di Lucca, dove gli ebrei residenti erano alcune centinaia, si valuta che circa una ventina tra scolari, studenti e docenti siano stati espulsi dalle scuole – racconta la storica – Mentre in città come Firenze o Livorno le comunità ebraiche cercarono di reagire all’espulsione istituendo o rafforzando scuole private anche a livello superiore, per i piccoli nuclei ebraici di Lucca e Viareggio, sezioni della comunità israelitica di Pisa, questo non fu possibile, data la carenza di risorse. Alcune famiglie cambiarono allora città, in modo da poter iscrivere i figli presso le scuole organizzate nelle Comunità più grandi, oppure scelsero la via dell’emigrazione”.
A Viareggio, dove la presenza ebraica era la più significativa della nostra Provincia, fu possibile  istituire una piccola scuola elementare statale (in Toscana ciò avvenne solo a Livorno, Firenze, Pisa, oltre che a Viareggio) che, per iniziativa della comunità ebraica viareggina, sorse nei locali dell’oratorio ebraico, allora situati in un edificio di via Fratti: una “scuola in una stanza”, come la definisce Silvia Angelini.
In questa piccola scuola elementare dell’apartheid fu mandata ad insegnare la maestra Gabriella De Cori, un’insegnante ebrea, che in quanto tale era stata licenziata dalla scuola pubblica (insegnava nel comune di Santa Maria a Monte in provincia di Pisa) e che fu temporaneamente ripresa in servizio per questo insegnamento ai suoi correligionari. Frequentarono la piccola scuola di Viareggio anche bambini provenienti dalle vicine città di Lucca e Carrara e anche alunni immigrati dalle più lontane città del nord come Torino, Milano e Genova.
“Tante le relazioni e le storie di vita connesse a questa esperienza – racconta Angelini – compresa quella delle famiglie ebree straniere internate a Castelnuovo di Garfagnana, di cui si documenta il tentativo, non andato a buon fine, di far sostenere ai propri bambini gli esami come privatisti alla scuola di Viareggio”.
La scuola ebbe fine nel maggio del ‘43 quando si aprì il periodo più drammatico: dopo l’8 settembre infatti, come molti di voi ricorderanno, iniziò la persecuzione delle vite degli ebrei. Da dicembre, per tutti, cominciò la clandestinità per sfuggire alla deportazione.
“Degli alunni della scuola di Viareggio nessuno venne deportato, ma alcuni persero i loro familiari – racconta ancora la storica – La maestra Gabriella fu arrestata con la sorella in provincia di Pistoia dove era sfollata. Condotta a Fossoli, il suo viaggio per Auschwitz non avrà ritorno”.
Grazie al ritrovamento di alcuni documenti, anche i bambini internati a Castelnuovo furono arrestati con le loro famiglie, inviati al campo di concentramento provinciale per ebrei di Bagni di Lucca e poi deportati. Di loro, come purtroppo molti altri giovanissimi, non è sopravvissuto nessuno.
La mostra ‘Il banco vuoto’ di Viareggio documenta anche con attenzione aspetti della religione e della cultura ebraica che testimoniano il grande investimento fatto dalle Comunità e dalle famiglie ebraiche sull’istruzione, oltre alla conservazione di antichi patrimoni, come quello linguistico del “bagitto”, il lessico di origine sefardita di cui si manteneva l’uso di espressioni e vocaboli. L’ultimo messaggio di speranza è affidato nella mostra alla rievocazione finale dell’opera di Giorgio Nissim, l’ebreo pisano che operò in rete con gli Oblati del Volto Santo di Arturo Paoli e che nel dopoguerra organizzò con sua moglie una scuola per ebrei a Lucca. “Solo quando nel mondo a tutti gli uomini sarà riconosciuta la dignità umana, solo allora potrete dimenticarci”.

Giulia Prete

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