Fra mito e quotidianità piace Angela Finocchiaro al Giglio

Tante risate e leggerezza unite a un’eccezionale profondità di contenuti, una vivace e colorata sceneggiatura, una scenografia essenziale e originali coreografie acrobatiche: questi gli ingredienti di Ho perso il filo, lo spettacolo che ieri sera (25 ottobre) ha aperto la stagione di prosa al teatro del Giglio di Lucca. Salutata dal caloroso applauso di una platea entusiasta, un’inedita e strepitosa Angela Finocchiaro riesce a sfiorare le corde più intime dell’essere, in un divertente ma graffiante e critico percorso narrativo che riflette sulle domande più antiche dell’umanità, risvegliando alcune delle paure più nascoste e spronando a rimettere in discussione sè stessi.

“Non vi aspettate il solito spettacolo!”, esordisce l’attrice nascosta fra il pubblico, che traballando all’interno di un’argentata armatura saltella verso palco: con i capelli arruffati e la mimica di una madre sull’orlo di una crisi di nervi, il personaggio di Angela si presenta agli spettatori nei panni del mitico eroe di Creta, Teseo. Su questo ossimoro si snodano tutti i centocinque minuti della rappresentazione in un gioco di contrasti divertentissimo, sullo sfondo di una centrale profondità tematica: il coraggio di vivere. Vivere, non sopravvivere, vegetando all’interno di un’esistenza routinaria e statica. Se i concetti della prudenza e ragionevolezza si sono stanziati nei meandri più reconditi dell’inconscio come substrati impossibili da rimuovere, dov’è finita la sfera emotiva della nostra esistenza, che la vita la fa sentire e agire con coraggio, senza trascorrerla da semplici spettatori? Saremo pure animali razionali, come ricorda Aristotele sul trono del super io: ma restiamo pur sempre esseri animali, animati da sentimenti ed emozioni.
Sul filo conduttore del mito greco di Teseo e il minotauro, tanti sono i veli che vengono alzati dagli occhi dello spettatore, che viene costretto a rispondere a domande che non vorremmo mai ascoltare. “Sei felice della tua vita? Sei felicemente sposata? Vorresti tornare indietro nel tempo per cambiare qualcosa?”: come tutti, anche la protagonista fatica a rispondere sinceramente, perché fatica prima di tutto a mettere in discussione le fondamenta della sua vita e di se stessa. Tuttavia, perdersi nel labirinto smarrendo il filo di Arianna, è la sola strada che l’eroina può scegliere per abbandonare l’ipocrisia con cui osserva se stessa e il mondo, riavvicinandosi a una dimensione autentica dell’esistenza. Questo è il percorso a cui invita Ho perso il filo: insieme ad Angela, lo spettatore si cala nel labirinto del minotauro, perde il filo che lo tiene aggrappato alle proprie certezze ed è costretto a fare i conti con la sua coscienza, che nei panni di un alto muro simile allo schermo di un pc, accusa la protagonista con divertente severità di non possedere le qualità di un eroe. Ripercorrendo infatti le diverse fasi della vita che l’hanno intrappolata in un’esistenza apatica e statica, il personaggio di Angela si accorge d’essere diverso da quello che vorrebbe: è un’ottima attrice di successo, senza dubbio, tuttavia la sua premura di madre scade a volte nell’eccessiva preoccupazione, se non invadenza; è una brava e buona moglie ma senza passione, in una relazione consumata dal tempo e dalla quotidianità senza neppur minimi sommovimenti emotivi. Spesso inoltre si riempie la bocca di belle parole sulla tolleranza, la comprensione e l’amicizia verso lo straniero, approfittandosi però, al bisogno, di quei luoghi comuni razzisti che dai bar sono finiti sulle bocche di alcuni politici. Un’anima spenta, quindi, che alla richiesta del muro di esprimere un unico desiderio, chiede l’immortalità.
Riconoscendo tuttavia, vicina ai mille anni, la stupidità di un simile desiderio: si crede – dice – che la soluzione ai problemi risieda nella moltiplicazione delle ore, ma non c’è niente di più sbagliato. Ciò che conta è avere il coraggio di vivere quelle presenti, senza la paura di riconsiderare il proprio modo di vivere, per modificarsi, evolversi e diventare eroi di se stessi. Nessuno si salva da solo, ma la scintilla non può che accendersi nei nostri animi. Se un obiettivo dell’arte è aiutare l’uomo a ripensare la propria visione di sé, risvegliando domande tanto banali quanto profonde come “Chi sono? Perché sono?” che l’eroina si pone nel labirinto, non si può negare che Ho perso il filo l’abbia centrato.
Angela Finocchiaro e le Creature del Labirinto – Giacomo Buffoni, Fabio Labianca, Alessandro La Rosa, Antonio Lollo, Filippo Pieroni, Alessio Spirito – danzano ancoa sulle originali coreografie di Hervé Koubi stasera e domani al teatro del Giglio – rispettivamente alle 21 e alle 16 – in uno spettacolo senza interruzioni, in un solo atto.
Prossimo appuntamento con la prosa, di Nicola Fano e Antonio Calenda, Falstaff e il suo servo, diretto dallo stesso Calenda, che racconta gli ultimi giorni di vita del Falstaff shakespiriano. La compagnia sarà a Lucca venerdì 15 e sabato 16 novembre alle 21 e domenica 17 alle 16.

Martina Del Grosso

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