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Evelina Fazzi, pedagogista, dedica alla vicenda umana del fratello “Una storia di amore e di speranza”

Una persona che perde la salute, la sua famiglia cui manca all’improvviso un punto di riferimento essenziale, e la storia per recuperare il possibile, per vivere fino in fondo quello che resta, con dignità. L’ultimo libro di Evelina Fazzi, che la pedagogista dedica alla vicenda umana del fratello gemello Francesco, è un viaggio attraverso un argomento delicatissimo, affrontato sia dal punto di vista affettivo, sia terapeutico.
Uscito nel marzo di quest’anno per Maria Pacini Fazzi editore, Una storia di amore e di speranza racconta 6 anni vissuti a fianco del fratello colpito da emorragia cerebrale e reso disabile.

Costretto a ricominciare tutto da capo, non appena è riuscito a stare meglio Francesco ha iniziato un percorso di riabilitazione difficilissimo e con poche speranze, come i medici sottolineavano, che pure ha avuto enormi risultati, considerando la situazione, grazie al “lavoro” che la sua famiglia, la moglie e la sorella in particolare, hanno fatto per lui e con lui.
Così, dal senso di impotenza a qualche risultato, fino ad una comunicazione vera anche se soggetta alle alterne vicende della salute psicofisica di Francesco, un percorso è stato fatto ed è raccontato anche fotograficamente nel libro, per dare una speranza a chi si trovi in una situazione simile, e anche qualche raccomandazione pratica sugli strumenti che si possono utilizzare.
Tra passi avanti e indietro, momenti di sconforto e di grande speranza, Evelina Fazzi descrive infatti un lavoro costante che ha richiesto tanta energia, ma soprattutto tanto amore e pazienza, e comprensione. Del resto, uno dei capitoli del libro si intitola proprio “Ingredienti fondamentali del percorso: accoglienza, accettazione, amore ed empatia”.
“Accettare la disabilità significa elaborare la perdita di una condizione normale e questa spesso è la cosa più difficile – scrive Evelina – Vedere Francesco sofferente ci rendeva impotenti ed era fonte di grande dolore. Ma siamo rimasti sempre combattivi”.
“Scrivere è un modo per addomesticare il dolore”, commenta nella sua introduzione la scrittrice Marisa Cecchetti. Ma è anche un modo per passare un’esperienza, offrire un aiuto, condividere qualcosa che possa servire a qualcun altro che deve confrontarsi con l’enorme difficoltà che una malattia così grave porta nella vita non di una sola persona, ma di tutte coloro che la amano. “Credo fortemente nel ruolo affettivo della famiglia e del suo coinvolgimento empatico con una persona che è in difficoltà. Questo può, talvolta, fare la differenza”.

a.b.

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