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La tensione astratta dei segni, mostra di Angelini e Pinchi al Lucca Museum foto

Un linguaggio reinventato in arte con un codice del tutto personale

Reinventare il linguaggio attraverso un codice del tutto personale che risponde a esigenze estetiche ed emozionali più che funzionali. È in fondo questo il gioco “serio” che gli artisti Marco Angelini e Andrea Pinchi si divertono ad affrontare nella bi-personale dal titolo La tensione astratta dei segni, a cura di Raffaella Salato, che aprirà i battenti martedì (29 settembre) nel LuCCA Lounge&Underground. La mostra, a ingresso libero fino al 18 ottobre, è patrocinata dal Comune di Lucca con il sostegno di Deva Connection. Sabato (3 ottobre) alle 17 si terrà l’inaugurazione ufficiale alla presenza degli artisti.

In semiotica, il segno è definito “qualcosa che sta per qualcos’altro, a qualcuno in qualche modo”. Parte da qui il lavoro di Angelini e di Pinchi, che si concentrano non tanto sui segni naturali – che non sono stati creati per significare qualcosa, ma che rimandano ad altri oggetti – o sui segni artificiali – creati per la comunicazione e quindi per trasmettere un concetto –, bensì su un’altra categoria di segni. Come spiega la curatrice Raffaella Salato, l’esposizione “intende dare un’interpretazione nuova ed originale di quella categoria di conoscenza dei segni che – secondo la teoria di Charles Sanders Peirce – viene definita dei ‘segni simbolici’ o ‘codici’. Nel caso dei segni simbolici o codici, infatti, la relazione esistente tra significato e significante è arbitraria, al contrario di quanto accade in presenza di segni iconici (in cui il significante è simile al significato) o segni indicali (in cui vi è una connessione fisica tra significante e significato)”.

Ognuno degli artisti rappresenta questi segni utilizzando il proprio personale e originale mezzo espressivo. «Le tele di Angelini, scampoli di stoffa e acrilico, di varie dimensioni – spiega la curatrice –, riducono a grado zero la scrittura, reinventandone una inedita attraverso l’arte. Una scrittura fluida, aperta, plasmabile ed interpretabile; un codice che non contiene in sé le risposte (significato), bensì genera domande sempre diverse a seconda dell’occhio di chi lo guarda.». Pinchi arriva invece a ideare il suo universo semantico, il Pincbau. “Attraverso alcuni espedienti espressivi a lui cari – sottolinea Raffaella Salato –, come il ‘cuorefreccia’ declinato in varie maniere e con materiali molto diversi fra loro, Pinchi mette in scena una propria personale narrazione, che – grazie alla sapienza tecnica e all’equilibrio plastico delle sue opere – dà vita ad una comunicazione d’autore dal sapore iconico e dall’appeal teatrale”.

In definitiva, la mostra vuole essere un inno alla comunicazione non verbale in tutte le sue forme e in particolare alla libertà rivoluzionaria dell’arte nell’atto comunicativo.

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