Un pezzo di Borgogna trapiantato a Borgo a Mozzano: i vini di Macea protagonisti della serata del Mecenate

La produzione della tenuta dei fratelli Barsanti accompagnati dalla cucina di Soledad e di Stefano De Ranieri

La storia di una famiglia e del suo vino in una terra d’elezione che sembra quasi una terra promessa.

È la storia che è stata raccontata in un percorso enogastronomico equilibrato quanto piacevole ieri sera (31 marzo 2022) all’osteria di tradizione Mecenate in via dei Fossi. Cipriano e Antonio Barsanti con la loro etichetta di vini made in Borgo a Mozzano, Macea, sono stati gli assoluti protagonisti di un percorso degustativo che ha restituito tutto il sapore, genuino, della fatica di chi, specialmente negli ultimi due anni, ha perseguito un sogno che è diventato una tradizione.

Come una tradizione è il sodalizio con l’oste, Stefano De Ranieri, che con la moglie Soledad ha accompagnato sul palato questo pezzo di Borgogna trapiantato sulle colline della Media Valle del Serchio.

È Stefano che introduce a inizio serata tutta la verve di Cipriano, che spiega la filosofia della sua produzione, decantando le doti di un pinot grigio che accarezza la scelta gastronomica di una pasta ‘garmugiata’: “Voglio provare – dice – a rendere il mio vino più integro e cercare dei vini il più rispettosi possibile del vitigno iniziale”.

Messaggio ricevuto e obiettivo riuscito in tutto il percorso, compresa la scelta di aprire la serata con il Trebbiano 2021 ‘levato dalla vasca’, cioè non solo senza etichetta ma anche senza bottiglia. Presentazione che prosegue con un Macea Bianco del 2019, il Pinot Grigio del 2020 e i due rossi, il Campo 2019/2020 e il Pinot Nero del 2020.

Alla serata si accompagna una storia, che è poi la storia di una famiglia. E di un viaggio in Borgogna che ha cambiato la vita un po’ di tutti: da lì la decisione dei Barsanti di coltivare a Macea, sulle colline sopra Borgo a Mozzano, un posto dell’anima, prima un ettaro di pinot nero, poi un ettaro di pinot grigio ed infine di sauvignon blanc. Una scelta seguita in contemporanea, neanche fosse destino, da altre cinque valli in Toscana, terra del vino per elezione, e non solo di Chianti.

“Non abbiamo raccontato un bicchiere – chioserà Stefano De Ranieri, che a Macea si è anche sposato con Soledad – ma una storia locale, la storia di una famiglia. Un appuntamento che dopo gli anni di Covid è potuto finalmente ritornare: adesso il futuro continuerà a sapere che Macea è luogo di umanità e di storia”.

Lo spiega, d’altronde, anche Renata, madre di Cipriano ed Antonio, nel racconto della sua emigrazione e ritorno dalla Scozia e da Glasgow. Per amore del marito e, alla fine, per amore di Macea.

Un amore che il Mecenate ha reso ancora più forte, facendolo percepire anche ai presenti, con la sua ormai arcinota, accogliente ‘cucina acustica’: dal formaggio di pecora di Pierpaolo Piagneri fuso su polenta di formentone otto file, dalla frittatina di asparagi selvatici e dal manzo marinato fino al cuore del menu: maltagliati alle tre farine al profumo di primavera (la pasta ‘garmugiata’, appunto), ravioli di papavero con burro artigianale (sempre di Piagneri) e parmigiano 38 mesi, meravigliosi stinco di scottona e coniglio ripieno. Per finire con una zuppetta di buccellato con crema e fragole a rendere ancora più dolce una serata dolce e delicata.

Una serata in cui il buon cibo e il vino sono stati, anche, la scusa per raccontare la storia: di una terra e di una famiglia che a quella terra, nonostante tutte le difficoltà, vuole rimanere legata. Come se fosse un pezzo di Borgogna.

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