Frittellaro e gentiluomo: Giuseppe, il babbo di Gesù

Giuseppe, il santo babbo di Gesù, del Salvatore era solo il padre putativo, con la missione, però, di proteggere e custodire il Verbo incarnato e sua madre. Insomma, un protagonista assoluto, strategico, del progetto divino della Salvezza, esempio di pazienza e mitezza, castità e virtù paterne. Assai apprezzato in oriente prima, in occidente poi, dove in tempi relativamente recenti è stato proclamato protettore della Chiesa universale, Giuseppe risulta molto amato negli ambienti popolari per via delle sue origini.

Santo lavoratore manuale, il suo nome è stato sempre ben presente nell’onomastica delle famiglie umili, che, povere di beni ma non di figli, non si facevano quasi mai mancare un Peppe, un Peppino o una Pina. Festa di precetto istituita da papa Gregorio XV (1621- 1623) e mantenuta tale fino a non molto tempo fa, il 19 marzo si intride di usanze remote legate al ciclo della primavera e risalenti, credibilmente, alle Liberalia romane, celebrate negli stessi giorni dell’anno in onore di Libero, antica divinità italica della fecondazione, poi identificata col greco Bacco, inventore del vino: divinità della festa e dell’allegria, della trasgressione e del piacere. Nell’antica Roma, in occasione di questa festività, gli adolescenti romani sedicenni indossavano la toga virile, mentre giovani sacerdoti e sacerdotesse, il capo ornato da serti di fiori e fronde, percorrevano le vie della città offrendo al dio il foculus, una pasta dolce molto simile alle frittelle nostrane. Una consuetudine, questa, che si ripete ogni anno in onore del casto e ingegnoso sposo di Maria. Giuseppe, infatti, secondo una originale versione tutta ‘dal basso’ della storia sacra e frutto della fervida fantasia popolare, per campare la famiglia dopo la fuga in Egitto avrebbe esercitato per qualche tempo e con un certo successo anche il mestiere di friggitore. Se per l’antropologia culturale il fuoco e il fumo propri di una tale attività rimandano a riti antichi di purificazione agraria tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, a noi, ragazzi di ieri che ci aggiravamo con curiosità e stupore – e un certo appetito proprio dei figli dell’immediato dopoguerra – per le strade e le piazze di Roma, rimane il ricordo, indelebile nella memoria, di un sentore, forte e solleticante, di fritto nel naso e un sapore, dolce e unto, nel palato.

Frittelle di San Giuseppe alla maniera dei toscani
Ingredienti: 500 grammi di riso, un litro e mezzo di latte, 80 grammi di farina, 100 grammi di zucchero, una bustina di lievito in polvere, 6 uova, Alchermes conosciuto anche come ‘il liquore dei Medici’, scorza di limone, olio e sale.
Preparazione: cuoci il riso nel latte, insieme a metà dello zucchero e alla scorza di limone. Quando il riso sarà cotto, scolalo e mettilo in una ciotola. A esso aggiungi la farina mescolata al lievito, un goccio di Alchermes, i tuorli d’uovo e un pizzico di sale. Amalgama il tutto e lascia raffreddare. A parte monta gli albumi e quindi uniscili al composto di riso. In una padella con olio bollente versa il composto di riso a cucchiaiate: fai dorare le frittelline così ottenute senza farle scurire. Scola le frittelle, asciugale dall’olio su fogli di carta assorbente da cucina, quindi servile calde o tiepide, spolverate di zucchero.

Luciano Luciani

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