Messico ’70, il mondiale val bene una guerra

Può una partita di calcio far scoppiare una guerra? E non in senso metaforico, si badi bene. Evidentemente sì.
È una storia, questa, che qualcuno ha già raccontato e in maniera molto più accattivante di quanto possa fare io. Ryszard Kapuściński, reporter polacco giramondo, ci ha intitolato una raccolta di articoli ‘La prima guerra del football e altre guerre di poveri’. Si deve tornare indietro di 48 anni. È il 1969 e l’anno successivo si gioca il mondiale in Messico. La Concacaf, la confederazione del Centro America, ha diritto a un altro posto al torneo iridato oltre a quello del paese organizzatore. Se lo giocano, in semifinale, Honduras ed El Salvador, e già il sorteggio fa capire che non sarà una gara come le altre. Il motivo, come spesso succede, è geopolitico. L’El Salvador nella fine degli anni Sessanta patisce un momento di crisi economica legata a doppio filo con la crescita demografica. Le ambizioni del confinante Honduras, guidato dal dittatore Arellano, portano alla firma di una convenzione che permette il libero transito di lavoratori. ‘Emigrano’ in 300mila con le conseguenti immaginabili tensioni fra le due popolazioni. In questo clima, già di fuoco, un’urna beffarda mette di fronte le due formazioni.

Gara di andata e ritorno e la possibilità, per i tifosi, di sfogare con la scusa del pallone, tutto l’astio accumulato in anni di tensioni sociali. Due partite di calcio, a Tecucigalpa e a San Salvador, che fanno anche delle vittime. All’andata vincono per 1-0 i padroni di casa dell’Honduras, dopo la sconfitta la figlia di un generale salvadoregno si spara al cuore e diventa eroina e simbolo della riscossa degli avversari. Al ritorno il risultato è ribaltato con gli interessi, con El Salvador che vince 3-0. A fare le spese della sfida sono due tifosi honduregni, negli scontri del dopopartita e l’accompagnatore della squadra nazionale ospite, ucciso a sassate dai tifosi locali che assediano l’albergo. 
Siamo ancora agli albori del regolamento Fifa. La differenza reti non decide gli scontri. Si deve giocare ancora, stavolta in campo neutro, proprio a Città del Messico. Azteca blindato e partita spettacolare quanto rissosa, che finisce con cazzotti e calci che volano fra i giocatori e lo staff delle due squadra. Ai supplementari, intanto, ha vinto El Salvador per 3-2, con il gol di Mauricio Rodriguez, uno che tornerà alla ribalta del calcio internazionale come allenatore della sua nazionale ai mondiali di Spagna 1982, e non con grandi fortune.
La conclusione della partita scatena nuovi scontri fra le tifoserie e provoca la reazione dei governi. L’Honduras chiude i confini agli odiati salvadoregni e interrompe le relazioni diplomatiche con il paese confinante. El Salvador, con la scusa della salvaguardia dei propri compatrioti emigrati, inizia le manovre di guerra e dichiara lo stato di emergenza. La crisi scoppia effettivamente il 14 luglio, 17 giorni dopo la partita incriminata. El Salvador attacca per terra e per aria, Honduras si difende e resiste ai confini. Anzi, respinge l’offensiva più pericolosa costringendo così l’aggressore, il 20 luglio, dopo l’intervento dell’Organizzazione degli Stati Americani, ad accettare il cessate il fuoco.
Sei giorni, 6mila morti, decine di migliaia di sfollati, feriti e senza casa. Con il pallone come scusa come sarebbe avvenuto, preludio di un’altra e ben più grave tragedia, il 13 maggio del 1990 a Zagabria, teatro degli scontri fra gli ultras dei locali della Dinamo e quelli della Stella Rossa Belgrado. La guerra in Jugoslavia era dietro l’angolo.
Per la cronaca El Salvador, poi, a quei mondiali ci andò. La finale era contro Haiti, che aveva sconfitto in semifinale gli Stati Uniti. Non fu una passeggiata: El Salvador vinse 2-1 a Port-au-Prince, ma subì in casa un pesante 3-0. Spareggio l’8 ottobre del 1969: decide al 14’ del primo tempo supplementare Juan Ramon Martinez, una carriera con 32 presenze e 14 gol in nazionale.
In Messico, poi, fu tutta un’altra storia: tre gare, tre sconfitte contro Belgio, Messico e Russia. Nove gol subiti, nessuno fatto. E pensare che per arrivarci, a Città del Messico, era servita anche una guerra…

Enrico Pace

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