Al Real Collegio il ricordo delle foibe. Soldati: “Chi prova a dimenticare insulta la memoria” foto

Consiglio comunale e provinciale di Lucca congiunto. Al centro il dramma degli esuli fiumani, istriani e dalmati

In vista del giorno del ricordo (10 febbraio) per le vittime delle foibe, al Real Collegio di Lucca si riuniscono, per soffermarsi di nuovo su quei tragici fatti, il consiglio comunale di Lucca ed il consiglio provinciale.

La seduta, convocata da Francesco Battistini e Luca Menesini, vede una grande partecipazione nella sala dell’Affresco, completamente esaurita. Presenti anche il consigliere regionale Stefano Baccelli e molti amministratori locali.

L’urgenza, mai sopita, è quella di ricordare il dramma dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati, in fuga dal regime di Tito nel secondo dopoguerra. Giunti a Lucca dal 1947 al 1956, vennero ospitati (in 1200 circa) proprio nel Real Collegio.

“La guerra – commenta il sindaco Alessandro Tambellini in apertura – ha portato disastri per tutti. Non possiamo dimenticare gli armadi della vergogna, né il fatto che nei conflitti nessuno rimane esente da nefandezze. In questo senso, per spezzare la catena dell’odio, forse dovremmo rifarci al precetto evangelico del porgere l’altra guancia”.

Per il presidente della Provincia Luca Menesini “è nostro dovere ricordare e celebrare, perché la nostra città ha ospitato una grande comunità di esuli. Per fare questo abbiamo organizzato, nel corso degli anni, una serie di viaggi per continuare a trarre insegnamenti da quella storia. Dobbiamo impegnarci – prosegue – affinché la pace sia davvero il valore guida dell’Unione Europea”.

Il professor Pietro Finelli (Istituto Storico della Resistenza) osserva che “a quasi settanta anni da questi eventi è ancora necessario parlare di quello che è successo. Credo – precisa – che il tema forte sia quello dei confini, costruiti in una terra che non ne aveva. La repressione della comunità slovena e croata, inoltre, inizia negli anni Venti e diventa ancora più forte con l’ingresso in guerra. Si prefigura una massiccia presenza italiana – rammenta – in terre che di italiano non hanno nulla. Nei campi di concentramento italiani vengono deportati dai fascisti circa 30mila slavi, con una durezza folle. Non stupisce quindi che dopo l’8 settembre si scateni la violenza anti-italiana”. Una violenza assoluta che si differenzia dalla seconda ondata delle foibe: “Quella è invece un’operazione politica è studiata, perché Tito vuole costruire un nuovo stato Jugoslavo socialista. In tutto questo – precisa – i nemici del popolo come gli italiani fascisti devono essere repressi (le stime più attendibili parlano di 5-15 mila vittime, ndr)”.

Il cuore del ricordo resta l’esodo: “Un mondo di profughi si muove – conclude – lasciando le proprie terre. Parliamo di circa 250mila italofoni e di qualche migliaio di slavi”.

A rappresentare la storia viva e che ancora preme per essere raccontata, con la voce ancora rotta, è il superstite Aligi Soldati: “Appartengo all’ultima generazione che è stata costretta all’esodo. Da bambino ho vissuto per 12 anni nei campi profughi, vivendo ogni giorno la disperazione dei miei genitori. Dare voce al silenzio è un dovere – afferma – perché troppe sofferenze devono essere raccolte”. Il ricordo si concentra poi sulla vicenda vissuta dalla città di Zara, teatro di terribili esecuzioni: “Bastava parlare italiano per essere annegati in mare”, ricorda Soldati. “Le foibe – conclude – sono state espressione di una crudeltà estrema. Una pulizia etnica frutto di nazionalismo esasperato e ideologie totalitarie. Chi prova a dimenticare insulta la memoria, ma la cosa peggiore – ammonisce – è quando qualcuno vuol fare il padrino di un orrore, contrapponendolo ad un altro: questo modo di ragionare è un’altra forma di barbarie”.

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