Liberiamo l’Italia, appello ai sindaci: “Un piano per ritornare a scuola a settembre”

Le richieste alla politica dopo la manifestazione di sabato scorso anche a Lucca

No alla didattica a distanza, sì al ritorno a scuola in sicurezza. Liberiamo l’Italia sabato scorso (9 maggio) ha manifestato in piazza Napoleone a Lucca. Tra i temi sollevati in quell’occasione la chiusura delle scuole e la limitazione del diritto allo studio hanno rivestito un ruolo centrale.

“Senza negare la gravità del pericolo epidemico – dicono dal comintato lucchese – amplificata dalle condizioni critiche in cui versava il sistema sanitario pubblico minato da decenni di tagli al welfare, dobbiamo rilevare che la comparsa del Covid-19 ha impresso un’ulteriore spinta ai processi di disgregazione sociale già in atto da decenni. L’accelerazione verso la sostituzione della didattica a distanza alle lezioni in presenza si colloca su questa falsariga, in perfetta continuità con le tendenze già in atto da tempo. Negli ultimi giorni, gruppi di genitori e insegnanti hanno dato luogo a manifestazioni spontanee contro la prosecuzione delle modalità d’insegnamento a distanza e, come Liberiamo l’Italia, diamo pieno sostegno alle rivendicazioni avanzate”.

“Non possiamo non rilevare – prosegue la nota – come le dichiarazioni ondivaghe del ministro Azzolina, unitamente ai proclami del presidente Conte, quasi mai accompagnati da una programmazione seria che colleghi un piano d’investimenti al reperimento delle risorse, contribuiscano ad alimentare il sospetto che manchi una reale volontà politica tesa a garantire il rientro a scuola degli studenti. L’assenza di una programmazione di medio-lungo termine che metta fine alla condizione di precarietà strutturale in cui versa complessivamente il sistema pubblico è stata una costante degli ultimi vent’anni e l’attuale governo non sembra avere né la determinazione, né le competenze necessarie per trovare una soluzione credibile”.

“Per garantire la ripresa della normale attività scolastica – dice Liberiamo l’Italia – sarebbero necessari investimenti straordinari volti alla stabilizzazione degli insegnati precari e all’assunzione di nuovi docenti in pianta stabile; servirebbe inoltre un piano serio di efficientamento e recupero degli immobili da destinare all’attività didattica, mentre ancora niente sappiamo sugli stanziamenti dedicati all’edilizia scolastica. L’investimento di risorse pubbliche statali ed europee è univocamente rivolto al potenziamento delle infrastrutture informatiche. Va rilevato l’aspetto autoritario insito nelle politiche comunitarie, rappresentato dalla destinazione vincolata di ingenti risorse a progetti d’implementazione della didattica digitale, che prescindono da qualsiasi discrezionalità di utilizzo alternativo in funzione dei problemi specifici che i paesi si trovano a fronteggiare. Ciò determina un impiego disfunzionale del denaro pubblico, lasciando irrisolti i reali deficit strutturali che di fatto limitano il diritto allo studio. Gli stessi programmi scolastici sembrano sempre più orientati alla progressiva sostituzione dei metodi tradizionali di apprendimento con nuove modalità che fanno ampio ricorso agli strumenti tecnologici fin dalla più tenera età”.

“Stando all’ormai nutrita letteratura specialistica – prosegue il comunicato – i rischi collegati alla preponderanza spiccata di queste nuove forme di apprendimento sembrano connettersi all’aumento delle difficoltà relazionali ed emotive e ai deficit della capacità attentiva, che si riscontrano nelle nuove generazioni. Inoltre, l’utilizzo spinto della didattica a distanza sperimentato durante il lockdown ha mostrato tutti i limiti insiti in questo modello, in termini di drastico ridimensionamento del ruolo di inclusività e di livellamento degli svantaggi sociali, perseguibile solo con la compresenza e la reciproca frequentazione di studenti ed insegnanti. Le situazioni di marginalità sociale e di svantaggio economico escono decisamente esacerbate da un approccio che prescinde dalla presenza fisica. In un contesto già estremamente carente sul piano dei servizi pubblici all’infanzia e all’adolescenza come quello italiano, molti ragazzi, privati della presenza dell’insegnante e relegati al proprio domicilio, si trovano a dipendere totalmente dall’assistenza dei genitori, che non sempre, per ragioni sociali e lavorative, possono svolgere adeguatamente questo compito”.

“Per tutte queste motivazioni – conclude la nota – ci troviamo a condividere in toto le richieste avanzate da genitori ed insegnanti, circa il pieno ripristino della normale attività didattica con l’inizio del nuovo anno scolastico; a tal fine, non bastano generici proclami; si deve cominciare fin da subito ad elaborare un piano che traduca sui territori le iniziative necessarie a rendere concrete le formali dichiarazioni d’intenti. Su questo punto, chiediamo ai sindaci, come rappresentanti degli interessi della cittadinanza, di unirsi alla battaglia per l’effettiva riapertura delle scuole a settembre. Spiace constatare che per ora la loro voce si è sentita poco”.

 

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