Il ponte delle ‘puellae lupanaris’

Attraversi ponte San Pietro per recarti nell’Oltreserchio o tornarne, e i tuoi pensieri – “una volta qui era tutta campagna”; “Il Serchio è in piena” o “il Serchio è in magra”; “ma come sono belle le colline”; “possibile a quest’ora già tutto ‘sto traffico” – non muovono certo in direzione dell’amore, meno che mai quello mercenario. E fai male perché a “quelle signore” e ai loro sacrifici professionali dovresti una qual certa gratitudine. Sì, perché è proprio grazie alle tasse che gravarono sulle loro attività erotiche che tu, oggi, puoi percorrere il ponte e oltrepassare comodamente il fiume.

È un’antica storia, che risale a quasi 6 secoli e mezzo or sono. Lucca fu, forse, la prima città in Italia a istituzionalizzare la prostituzione dopo la terribile pestilenza del 1348, poiché sembrava che, dopo quel terribile flagello, un’altra peste avesse colpita la città, quella del vitium sodomiticum. Ben vengano, allora, le puellae lupanaris, unico antidoto conosciuto, insieme al matrimonio, rispetto alla nuova emergenza morale. La zona loro riservata era situata in un’area posta a nord ovest della città detta ‘Coiaria’, infestata dai miasmi mefitici della lavorazione delle pelli. Qui trovò la sua sede il primo postribolo pubblico lucchese: la sua gestione venne data in appalto e se l’aggiudicò per la cospicua cifra di 120 fiorini d’oro un cittadino lucchese, tal Nicolao del Tepa. A lui competevano la riscossione dei proventi dell’attività delle meretrici e la sorveglianza: le porte del postribolo che davano sulla città dovevano rimanere rigorosamente chiuse, mentre le donne erano obbligate a non esercitare in altro luogo che quello. Certo, la natura di quegli introiti derivati da un mercato ritenuto impudico dai più agitava qualche coscienza, creava qualche occasione di turbamento, presto aggirato con la destinazione di quei proventi a fini pubblici, filantropici e sociali. Così, nel 1369 una parte di quelle somme contribuì alla costruzione del ponte sul fiume Serchio, a occidente della città, intitolato a San Pietro. In fondo, si sa, pecunia non olet. Un regime che, però, si rivelò restrittivo delle ben più larghe potenzialità che il mercato del sesso offriva nella città del Volto Santo. E le meretrici lucchesi, allora, come d’altra parte accadde alle loro colleghe veneziane, fiorentine, romane, perugine, non accettarono troppo di buon grado di limitare le loro mansioni in un’area urbana appartata e, per di più, sorvegliata e, insieme ai clienti e al vario e composito mondo che ruotava al loro mestiere, iniziarono una pressione che nel corso di poco meno di un secolo, avrebbe portato il loro raggio d’azione ad allargarsi all’intera città. Infatti, intorno alla metà del XV secolo, una serie di leggi e provvedimenti liberalizzarono l’esercizio delle attività prostitutive e al postribolum si aggiunsero alberghi, taverne, case private e le famigerate ‘stufe’, malfamati bagni termali ‘ricetto di mille vergognose e disoneste libidini carnali’ (Garzoni). Dietro le aperture dei magistrati lucchesi e la loro politica di sostanziale favoreggiamento dell’amore a pagamento l’antica paura della diffusione del nefando vizio ‘contro natura’. Per combatterlo, non solo era giocoforza ricorrere al male necessario delle puellae lupanaris, ma, nel 1448, si arrivò addirittura all’istituzione di una particolarissima magistratura l’Offizio sopra l’Onestà, tre cittadini, eletti annualmente, con plenariam auctoritatem a cui toccava investigandi, inquirendi et perquirendi de culpabilibus et contra culpabiles in dicto vitio, cuiuscumque conditionis, qualitatis et gradus existent. Un evidente assillo la sodomia per i lucchesi che, nel 1454, tornarono sulla questione con un decreto che penalizzava tutti i cittadini di età compresa tra i ventisette e i cinquant’anni esclusi da ogni impiego pubblico se non regolarmente coniugati. Insomma, meno male che nella città murata ci sono le donzelline: e visto che svolgono un’importante funzione sociale sarà bene creare intorno a loro le migliori condizioni possibili. Per esempio, contrastandone lo sfruttamento: “Et che nessuna persona ardisca per qualunche modo fare e commettere rofianesimo”. Per i trasgressori erano previste pene severe: una multa di 100 lire, la fustigazione pubblica in caso di mancata oblazione e il bando “dalla città, territorio et distretto di Lucca”.

Luciano Luciani

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